Ma fin est mon commencement, et mon commencement ma fin: l’Ouroboros in Natura, in Alchimia ed in Musica


L’Ouroboros, o serpens qui caudam suam devorat, in più culture, è il simbolo assoluto del Tempo, nell’eterna ripetitività dei suoi cicli, che (in determinati casi) nell’alchimia e nell’ermetismo circoscrive un punto centrale ed è così definito dall’assioma greco: En to pan, ad evidenziare (secondo alcuni) il fatto che ogni cosa è soggetta a Dio, Infinito ed Eterno Signore dei tempi, Centro e Circonferenza dell’intero creato.

Ogni cosa, sulla terra ed oltre, ha i suoi cicli ed i suoi tempi:
le stagioni, le rivoluzioni dei pianeti e degli astri attorno al sole o ad altri sistemi, i fenomeni chimici e fisici, quelli matematici ed i processi intellettuali; così come gli aspetti psichici, che accompagnano la crescita e lo sviluppo dell’uomo e delle sue facoltà.

Ed infine, il ciclo dell’anima umana, che dai cieli infiniti, una volta precipitata, attraverso numerosi cicli reincarnativi, ritorna nell’Infinito (pur non essendone mai uscita), partecipe della grandezza del Padre.

Infatti, così come tutto, nel creato, rispetta e segue determinate Leggi, anche l’uomo, essendone parte, non esula (per logica) da questo armonico movimento.
Le sostanze di cui è composto, una volta che l’anima ha abbandonato la materia, ritornano al loro stato primario di elementi, per poi riformarsi, una volta che un’anima ritorni nel ciclo reincarnativo terrestre, per divenire nuovamente corpo: ricordate (Prefazione alle Dimore Filosofali) Canseliet che cita lo stupore di Enea che parla con l’ombra di Anchise? “Volete dire – chiede al padre – che quelle sono tutte anime pronte  a ritornare in un corpo vivente?”.

Il dio Saturno, che i Greci chiamavano Chronos, veniva raffigurato come un vecchio, che tiene nella mano destra una falce, e nella sinistra l’Ouroboros: ogni cosa ha un’alba e un tramonto, così come l’ultimo mese dell’anno raggiunge il primo, per poi ripartire nuovamente senza distacco. L’Ouroboros, veniva, nell’antichità, rappresentato diviso in dodici parti, come i mesi dell’anno, per imprimere maggiormente il senso del Tempo (in greco, appunto, Chronos), presente nella materia; non è poi un caso che, anche gli orologi, abbiano forma circolare e siano divisi in dodici quadranti, quasi a mostrare, ancora una volta, la continuità e la ciclicità che il poderoso simbolo indica.

E’ d’altra parte una nostra percezione, quasi una nostra gabbia, quella del tempo che scorre in avanti come su una linea retta: già Feynman, per spiegare l’Antimateria, pensò ad esso come ad una dimensione paritetica alle spaziali, e pertanto invertibile di segno.

Semina e mietitura, sono aspetti senza interruzione di continuità, poiché dalla pianta vengono generati i semi che nuovamente segneranno la nuova rigenerazione. Come avviene ogni anno per la Natura, anche gli Alchimisti, nel loro piccolo mondo, rinnovano dalla Primavera il miracolo della Creazione microcosmica. Per tale similitudine l’Alchimia è detta anche Agricoltura Celeste.

Il fatto che il serpente sia un’animale che di continuo ringiovanisce, grazie alla muta della sua pelle, ne fa maggiormente un simbolo di rinnovamento e cambiamento.

La Natura maestra, come la definiscono gli alchimisti, è perenne esempio di questi fenomeni di ciclicità, che agli attenti osservatori non possono sfuggire né lasciare privi di un senso di stupore e di ammirazione, così come nel racconto Sioux, dove il saggio pellerossa, sulle placide rive del lago, scopre che l’acqua evapora grazie al Sole (immagine del Grande Spirito, Motore di tutto, ma anche di un Mercurio che sublima…), per poi ridiscendere nuovamente sotto forma di pioggia e portare nuova vita; proprio come l’anima dell’uomo nel grandioso ciclo delle sue esperienze.

Ed ecco perché, anche nella cultura degli indiani d’America, il cerchio è simbolo sacro dell’Infinito e di Dio, basti pensare alla “Ruota di Medicina”, perno dell’immenso potenziale spirituale di questo nobile popolo.

Anche il sole, con tutte le sue valenze, appare come un cerchio nel cielo.

Nella simbologia alchemica, l’Ouroboros è anche e soprattutto, l’immagine di un processo (necessario al raffinamento e facente parte dell’Opera) che una volta concluso si ripete, attraverso le 4 fasi (come le stagioni e i punti cardinali) dell’Operazione: riscaldamento, evaporazione, raffreddamento e condensazione: esse sono tutte visibili nelle cosiddette distillazioni per via Umida, ma comunque intuibili anche come movimento all’interno del crogiolo: solve et coagula, la massima che spesso accompagna le raffigurazioni dell’Ouroboros.

Questo spiega anche perché il simbolo è spesso, nei libri di alchimia, raffigurato non con uno bensì con DUE draghi: uno superiore, il drago alato, segno della volatilità ed uno inferiore, segno della fissità. Vengono anche alle volte rappresentati, metà neri e metà bianchi, sinonimi dell’armonia fra gli opposti, così come il sole e la luna, il maschile e femminile segnano due semicerchi nella volta celeste nel corso del loro movimento, Yin–Yang, Zenit e Nadir, ecc.

Negli antichi misteri egizi raffigura l’anello di congiunzione fra le quattro divinità cosmiche: Sithis, Iside, Osiride e Horus.

Il fatto di divorarsi la coda, (oura “coda” e boros “divorante”) sta a significare come la continuità sia conseguenza necessaria del movimento.

L’Ouroboros è stato anche rappresentato, nell’antichità, diviso in dodici parti come i mesi dell’anno, per imprimere maggiormente il senso del Tempo, presente nella materia;
non è poi un caso che anche gli orologi abbiano forma circolare e siano divisi in dodici quadranti, quasi a mostrare, ancora una volta, la continuità e la ciclicità che il poderoso simbolo indica.

Per gli Adepti delle scienze occulte ed alchemiche, il serpente che si morde la coda, diviene allegoria di Conoscenza (che non è mai accessibile a tutti) ed allo stesso tempo il Drago è il “Guardiano” della Grande Opera; nelle cattedrali e nelle chiese spesso compare sui battenti delle porte d’ingresso, quasi a voler sorvegliare quei “libri di pietra” che sono le costruzioni gotiche.

Nel Medioevo era l’emblema del silenzio iniziatico, negli ordini monastici, corporativi, cavallereschi o ermetici: a motivo del suo mordersi la coda, viene meno la facoltà della parola, e così l’indispensabile segreto è mantenuto tale.

Nella sua ciclicità, l’Ouroboros ci ricorda la Legge di Causa ed Effetto, per la quale ogni azione ne ha per conseguenza un’altra. Ad azioni positive seguiranno reazioni ed effetti positivi e viceversa, a cause negative si avranno conseguenze appartenenti allo stesso segno.

Tornando al concetto di ciclicità, riferita al cammino dell’anima, qui si innesta, nella Tradizione Ermetica, il concetto metafisico di ‘Revenant’, applicabile peraltro ai soli Adepti, i quali  grazie alla loro Conoscenza sono in grado di interrompere, parafrasando ancora Canseliet, il cammino temporale prefissato per l’uomo, di prolungarlo, di andare e tornare (‘Revenant’, appunto) da e verso questa Manifestazione.

In tal modo (una ‘consolazione’ diceva molti anni fa Canseliet, probabilmente rimpiangendo il suo Maestro, ma forse usando anche un termine ‘cabalistico’) tale simbolo di ciclicità, eternità e continuità sembra invece suggerire, oltre alla speranza di una morte non ineluttabile, anche la possibilità (una delle infinite riservate agli Adepti) di libertà dai nostri vincoli di spazio, di tempo e di Universo…

… e la Musica? Forse può aiutare per qualche altro passettino sul Sentiero: vorrei prendere spunto dal celebre Canone di Guillaume de Machaut, dal nome emblematico

MA FIN EST MON COMMENCEMENT

Il testo è il seguente:

Ma fin est mon commencement

et mon commencement ma fin

et teneur vraiement

ma fin est mon commencement

Mes tiers chans trois fois soulement

se retrograde et einsi fin

Ma fin est mon commencement

et mon commencement ma fin

La traduzione, per far sì che certe ‘risonanze’ del francese (francese antico, siamo nel XIII secolo) potrà risultare poco elegante, ma sappiamo bene chela lettera uccide già di per sè, senza aggiungervi l’esiziale traduzione ‘a senso’.

La mia fine è il mio inizio / e il mio inizio la mia fine / e il tenore veramente /la mia fine è il mio inizio / i miei tre canti /tre volte solamente / si retrogradano e così  fine/ la mia fine è il mio inizio / e il mio inizio la mia fine.

Il testo in realtà è anche l’indovinello’, la chiave per risolvere il Canone: è la descrizione di come esso è costruito, ma probabilmente non solo. Una costruzione complessa, a tre voci (“trois chans”), ovvero Cantus, Tenor e  Triplum, disposte in forma di canone cancrizans e retrogrado con tenor a specchio. Che significa? Che il Tenor va dal punto A al punto B poi torna indietro, nel frattempo il Triplum va dal punto B al punto A poi torna indietro, e che l’intera composizione può essere divisa a metà ed invertita. Complicato, eppure se la ascoltate la troverete a suo modo bella, un risultato notevole con tali e tante limitazioni ‘matematiche’ alla libertà compositiva:

Ho volutamente usato le immagini di Ouroboros per questo video di YouTube inciso da noi, in particolare quella dell’Emblema XIV di Michael Maier (Ecce Draco caudam suam devorans) il quale, peraltro, nella Fuga ad esso relativa utilizza un semplice canone all’ottava, per l’evidente ciclicità della composizione stessa. Per trovare una composizione simile a questa in Maier, bisogna invece arrivare fino alla Fuga XLVI, da lui stesso definita ‘reciproca‘ e riferita (ma non solo) alle Aquile. Qui Maier utilizza il consueto tenor del Pomum Morans però disposto in tempo ternario e svolto fino alla fine poi eseguito al contrario, e sopra due melodie speculari come in Machaut.

A titolo di curiosità, aggiungerò che Guillaume de Machaut, raffinatissimo compositore, era stato in contatto con il Papa Alchimista Giovanni XXII, l’Avignonese, e che più di un Compagno di Cerca sussultò, anni fa, quando chiesi ‘Ma uno che scrive un brano chiamato Ma fin est mon commencement et mon commencement ma fin potrebbe essere un Iniziato?” risposero senza tema ‘sicuramente sì’.

Mi piacerebbe però continuare la riflessione sull’Ouroboros, coniugandola con alcuni interrogativi profondi che il Cercatore si pone (e deve porsi) sui perchè del suo Cammino di ricerca. Il fraterno amico Tonneau Rouge, in un gioioso incontro ed anche in qualche suo scritto, si pose una domanda sulla vita ed usò l’espressione ‘chiudere il cerchio‘, espressione che mi colpì molto.  Rifletteva sulla generazione del metalli in seno alla Terra, e sollevò la seguente, semplice, ma importantissima obiezione: quand’anche il Mercurio dello Spirito Universale, disceso sul Centro della Terra e poi risalito lungo le vene metallifere, quand’anche imbroccasse ‘fortunatamente’ tutte le migliori possibilità, giungerebbe a produrre il più perfetto dei metalli, l’Oro… e poi? Egli tornerebbe ‘a casa’, ma non può essere che la cosa sia tutta lì, seppur nella sua splendida ed un po’ inquietante bellezza… Se questo Universo fosse perfetto, cosa che Paolo Lucarelli ci ha dimostrato esserlo tutt’altro, sarebbe composto (nel macro- e nel Microcosmo) da corpi che evolvono tutti insieme fino all’Oro?

Credo di no, i Filosofi in qualche punto lo indicano, molto velatamente, che non è tutto nella pur prodigiosa possibilità di effettuare una Trasmutazione, ovvero di alterare e modificare la struttura stessa della materia, piuttosto questa è una Via che va percorsa, e possibilmente fino in fondo, perchè ci consente (se siamo Benvoluti) di conoscere i più reconditi meccanismi della Natura e poter, dopo, ‘Oculati abire’, come nell’ultima Planche del Mutus Liber

Mi torna in mente un certo discorso sulle particelle atomiche che ‘riconoscono il Creatore’ e  così “risuonano” con Lui. C’era una canzone parrocchiale della mia adolescenza dal titolo “Tutta la Creazione canti”… più grande, cantai in un coro polifonico il più nobile Salmo CL, che elenca tutti i modi (e gli strumenti musicali!) per lodare il Signore, e che conclude, attenzione, con le parole “Ogni spirito (sic!) lodi il Signore”… J.R.R. Tolkien, l’autore della splendida saga del ‘Signore degli Anelli‘ , nel ‘Silmarillion‘ fa originare il mondo dal canto del Creatore…

Ma forse ho intrapreso un volo pindarico… mi succede, da quando studio Alchimia.

Forse, per un Alchimista, ‘chiudere il cerchio’, realizzare dunque ‘Ouroboros’, significa restituire un qualcosa al Creatore che generosamente, incessantemente, dispensa Spirito Universale a profusione, e che debba per questo  rimandare ‘di là’ un segno, un segnale (un segnale radio? Altrove si era detto così…), che dica “Ti riconosco, Creatore“, ed essere così noi (se chiamati dai Fati), e nel farlo ‘risuonare’ armonicamente con Lui.

Chemyst

13 pensieri su “Ma fin est mon commencement, et mon commencement ma fin: l’Ouroboros in Natura, in Alchimia ed in Musica

  1. Caro Chemyst,

    questo è un Post magnifico!…il ‘cerchio’ da lei percorso tra filosofia, musica ed Alchimia ha un centro ‘centrato’ e molto veritiero!

    Complimenti per la sua ‘Queste’, dove mostra di cogliere e saper gustare frutti succosi, saporiti e maturi.

    Entrando – solo per un attimo- nel merito della ‘compositio’ del Canone a tre voci e del testo che lei ha tradotto, sono rimasto colpito dalla spiegazione dei due cantori (Tenor & Triplum) che vanno ‘avanti’ ed ‘indietro’. Ed il Cantus, che fa? Quanto al testo, e lo dico con rispetto, lei è sicuro della versione Francese?…ho qualche dubbio sul ‘singolare’ e ‘plurale’ della fase ‘centrale’. Credo che persino un semplice curioso di Alchimia non potrebbe non restare stupito di trovare qui alcune precisissime indicazioni ‘classiche’ dell’operatività.
    Ancora una volta: grazie!…e – more solito – il Cerchio…si chiude!

    Captain NEMO

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  2. Che poderoso e poetico post amico mio!!!
    Che bello è giocare no? Davvero molto bello e molto ben “non pensato”. I tuoi voli sono sempre più belli e alti. E chi ti ferma più?

    A presto con qualche commento al tuo bellissimo post!!

    tonneau

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  3. Caro Capitano, sa com’è, il mio Francese non è gran cosa… ho involontariamente fatto una perfidia canseliettiana 😉 che peraltro non poteva sfuggirle. Quanto alla stratificazione e disposizione delle tre voci, va precisata anch’essa, e dovrò ricordarmi di non fidarmi troppo ciecamente della mia memoria. Allora, le più alte sono nell’ordine il Triplum, in alto, ed il Canto, in mezzo, ed entrambe poggiano sul Tenor. Va cantato soltanto il Canto (eh già…) il quale procede da A a B, mentre il Triplum va da B ad A nello stesso tempo. Questo è il canone cancrizans e retrogrado. Il Tenor invece parte da un punto (chiamiamolo C?) e, a metà delle melodie soprastanti, in un punto che è di fatto una cadenza ‘ouvert’ (chiamiamolo D?) torna indietro sui suoi passi: un tenor ‘a specchio’.
    … mi sono meritato una sua traduzione?

    Chemyst

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  4. Caro Chemyst,

    Non voglio certo invadere il suo bel territorio, da assoluto profano quale sono in campo musicale, benché passionato ascoltatore, ma vorrei sottoporle alcune osservazioni a proposito del pezzo di Guillaume di Machaut. Sarebbe bello poter disporre di una copia sensata del manoscritto, ma sembra che il testo del magnifico Rondeau (che è un’Acqua tonda, perché chiusa !!), reciti così:

    Ma fin est mon commencement
    Et mon commencement ma fin

    Est teneüre vraiement
    Ma fin est mon commencement.

    Mes tiers chans trois fois seulement
    Se retrograde et einsi fin.
    Ma fin est mon commencement
    Et mon commencement ma fin.

    La prima noticina è su ‘teneüre’: oltre al naturale significato di ‘tenor’, cioè la voce grave che sostiene, va notato che in antico francese la parola sarebbe ‘teneur’ e non ‘teneüre’, che sembra non esistere; parrebbe il genere femminile del cantore maschio!…una ‘tenitrice’, insomma. E che quindi condurrebbe a ‘tenuta’, con il senso di ‘ciò che contiene di sostanza principale o accessoria un minerale…” (Littrè), da cui l’altro uso comune nelle lingue latine ‘tenore di’… 

    L’altra nota è su ‘Mes tiers chans trois fois seulement’: ‘mes’ è il plurale di ‘mon’, ‘mio’, o ‘ma’, ‘mia’, ad indicare ‘miei’ o ‘mie’. ‘Tiers’ è aggettivo o sostantivo che indica ‘terzo/a’. ‘Chans’ può essere il sostantivo (plurale) ‘canti’ o il verbo ‘canta’, terza persona singolare. Come si vede, c’è qualcosa che non va. Una possibile traduzione potrebbe essere ‘i miei terzi canta tre volte soltanto’, ma regge a fatica. Si deve dunque pensare ad una possibile corruzione del testo, o ad un adattamento (forse per esigenze canore?) per arrivare a ‘i miei tre (o ‘le mie tre’, che preferirei) canta tre volte soltanto’. In ogni caso il soggetto deve essere un nome singolare, dato che il verso seguente recita ‘si retrogada’ e non ‘si retrogradano’. Allora, il tutto – omettendo il soggetto di ‘canta’ – potrebbe suonare così:

    La mia fine è il mio inizio
    ed il mio inizio la mia fine

    è veramente la ‘tenuta’
    La mia fine è il mio inizio

    Le mie terze (parti) canta tre volte soltanto
    Si retrograda e così fine
    La mia fine è il mio inizio
    ed il mio inizio la mia fine

    Il soggetto occulto, allora, in questa folle ipotesi, – quello che ‘chans’, cioè quello che canta – potrebbe essere quella ‘teneüre’, un soggetto di genere femminile che è grave, ma che tiene e contiene ‘vraiment’ tutto. Se dovessi giocare, con il suo permesso, con la Cabala Fonetica, aggiungerei che è un ‘vrai aimant’, un ‘vero magnete’!
    So che sorriderà, ma – so far – non saprei trovar di meglio: d’altro canto quel misterioso punto ‘C’, dove c’è l’inversione, dovrebbe essere il punto capitale dell’intera esecuzione!…Noti, la prego, che dopo ‘si retrograde’, si dice ‘et einsi fin’. Punto.

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    • Caro Capitano,

      lei può entrare nel merito di qualunque cosa quando vuole. A proposito della traduzione, le perplessità che solleva sono legittime ed intriganti. Probabilmente, sotto più livelli di lettura, Machaut a bella posta mette questi piccoli segnali. Per questa ragione provo a riportare la traduzione di un sito inglese che commenta il Canonedi Machaut:
      Come suggerisce il nome, il rondeau convenzionale, con la sua struttura ABaAabAB, è “rotondo”, la sua circolarità suggerita dalla ricorrenza di ciascuna delle due sezioni musicali, sia nella loro forma originale (A, B) o con un testo diverso (a, b).
      Ciclico ripetersi di questo genere, in cui “La cosa che è stata è quella che dovrà essere”, è comune nella musica di tutti i periodi, ma Machaut idea mezzi molto più ingegnosi di illustrare il significato dei propri testi: le prime due parti presentano la stessa melodia, ma in opposte direzioni temporali, e la più bassa delle tre parti (vale a dire, la voce “terza”) letteralmente ripercorre i suoi passi una volta che raggiunge il punto centrale della canzone. Dal momento che le due sezioni musicali si ripetono consecutivamente per un totale di tre volte, la terza voce, fedele al testo, si inverte esattamente “fois trois” prima della fine”.

      Questo è vero, ed è, se combiniamo la sua lettura con questa, il vero specchietto per le allodole, perchè apparentemente (ovvero se si ignora che ‘mes’ è il plurale di ‘mon’) ‘mes tiers chans’ trova riscontro nella struttura del brano e tutti sono soddisfatti e… si fermano.
      Mi piace molto anche la cabala sull’acqua tonda, che mi fa venire in mente qualcosa di globoso, che galleggia sulla superficie delle materie in fusione…
      “Il soggetto femminile che è grave”… ma sa, Capitano, che quando ho dovuto decidere chi doveva cantare quel brano, ho dovuto costringere la povera Nara a cantare in una tessitura innaturale per una donna, altrimenti far cantare la stessa parte ad un uomo sarebbe risultato sgradevolmente antiestetico? Forse, se avessi avuto un controtenore (un ‘androgino’? 😉 ) sarebbe stato meglio?
      Interessante anche il Vray aymant… ma ce n’è anche uno ‘falso’?

      Certo che in questo breve testo c’è di tutto, la materia, l’acciaio, le tre reiterazioni e… il ciclo di tutte le cose. Mi interrogo ancora su quel ‘chans’, chissà se verrà fuori qualcosa… Grazie ancora!

      Chemyst

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  5. Ciao Chemyst,

    la mia passione per l’araldica la conosci bene… vorrei portare alla tua attenzione alcuni stemmi tedeschi, appartenevano a membri del Drachenorden, Ordine del Drago, ti invio il link, c’è uno stemma il cui scudo è contornato da un ouroboros, in altri stemmi il drago-serpente non divora la propria coda, questa è semplicemente avvolta sul collo, a formare comunque un cerchio. Non posso postare le immagini specifiche, però se cerchi troverai anche un grande scudo a colori ricco di ‘spunti’ alchemicamente interessanti che lo contornano…la Vergine e il Bambino, l’Agnello ‘Flamboyant’…

    Fai clic per accedere a drachenorden.pdf

    Pandora

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  6. Cara Pandora,

    innanzitutto benvenuta (era ora!) sul mio blog: ho provato (in teoria è possibile) rendere visibile l’immagine nel commento, ma non vi sono riuscito. E’ molto suggestiva, comunque. Come per tonneau, ho provveduto ad invitarti quale autrice, l’araldica è un altro strumento di conoscenza nella nostra Queste, e sarebbe bello avere dei contributi anche in tal senso. Sono tante le domande… e forse troppe le risposte.
    A presto dunque…

    Chemyst

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    • Caro/a loop (mai nick fu meglio scelto), grazie per il commento. E’ la prima volta che lascia un commento, sarei curioso di capire da quale ‘porta’ è arrivata sul mio modesto blog: da quella della musica o dall’altra?
      Saluti cari

      Chemyst

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  7. Caro Ludwig,
    grazie per il commento e benvenuto sul blog. La sua sembra essere un’informazione interessante, ma finora non ho trovato possibile tradurre ‘chans’ con ‘parte’. Il mio terzo canto, se vogliamo pensare che chans è una corruzione di chant. Che se vogliamo è quello che fa la terza voce, eseguendo tutto il testo. Ma terrò da conto il suo suggerimento, se e quando in Laboratorio…

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  8. Grazie.

    Tiers chans è semplicemente il “triplum”, che appunto canta tre volte il retrogrado del cantus . . . <>.
    S’intende in questo senso terza parte ma certamente chan(s) sta per canto (“chans[on]”).
    Tiers è maschile singolare, al femminile tierce (pl. tiers e tierces) e viene da tertius, quindi terzo in questo caso.
    In ogni caso “retrograde” e “fin” sono entrambi voci verbali singolari quindi hanno soggetti singolari.
    Voglio sottolineare che comunque il poeta ha giocato usando una forte allitterazione della s: MeS tierS chanS troiS foiS Soulement.

    In ultimo, per congiungermi con il suo scritto, aggiungo che khantos in greco vuol dire cerchio della ruota e orbita del cerchio.

    Concludo dicendo che mi è piaciuto leggere quello che ha scritto e tutti i vari riferimenti.

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  9. Caro Ludwig,
    grazie ancora. In effetti, essendo anche uno degli esecutori, sapevo cosa faceva la ‘tiers chans’, ma era bello pensare che un terzo di quello che si ‘riflette’ possa ‘retrogradare’, che è una precisa necessità dell’Alchimista. Prezioso è anche il suo richiamo etimologico.

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