Carol of the Bells

Natale, tempo di Carole: termine molto generico, di antico lignaggio (risale al Medio Evo), molto usato nella comune accezione con il senso di ‘canto di Natale’…

Fra le molte, bellissime che la tradizione, soprattutto anglosassone, ci ha consegnato, mi ha sempre colpito ‘Carol of the bells’ per il contrasto assordante fra le parole di gioia e la musica, bellissima certo, ma con un che di concitato ed in tonalità minore.

eccovi una versione splendida dei Pentatonix, che fedelmente conserva i caratteri appena citati:

Nel video c’è il testo inglese, qui di seguito una sua traduzione:

Ascolta come suonano le campane
Dolci campane d’argento
Tutte sembrano dire
Butta via le preoccupazioni
Il Natale è qui
Portando buon umore
A grandi e piccini
a miti e audaci
Din-don, din-don
Questa è la canzone
Con tintinnio gioioso
Tutti i canti natalizi (Oh, oh, ah)
Sembra di sentire
Parole di buon umore
Da ogni parte (da ogni parte)
Riempiendo l’aria
Oh, come martellano
Alzando il loro suono
Su monti e valli
Raccontano la loro storia
Suonano allegramente
Mentre la gente canta canzoni di buon umore
Il Natale è qui
Buon Natale
Felicissimo Natale
Continuando a inviare
Senza fine
Il loro tono gioioso
In ogni casa
Ah ah ah
Din-don, din-don
Din-don, din-don
Ascolta come suonano le campane
Dolci campane d’argento
Tutte sembrano dire
Butta via le preoccupazioni
Il Natale è qui
Portando buon umore
A grandi e piccini
A miti e audaci
Oh come martellano
Alzando il loro suono
Su monti e valli
Raccontando la loro storia
Suonando allegramente
Mentre la gente canta canzoni di buon umore
Il Natale è qui
Buon, Buon, Buon, Buon Natale
Buon, Buon, Buon, Buon Natale
Continuano a inviare
Senza fine
Il loro tono gioioso
In ogni casa


​… per il contrasto stridente fra testo e melodia, non sembra anche a voi di immaginarla cantata dal Grinch? Chi è? Ve lo racconto:

Il Grinch è raffigurato come una creatura pelosa, panciuta, a forma di pera, con braccia e gambe lunghe e magre, dalle pupille rosse e bulbi oculari gialli e con un viso da gatto, con una personalità cinica. Ha trascorso gli ultimi 53 anni vivendo in isolamento nella caverna di una montagna, il Monte Crumpit (Monte Briciolaio nel film girato con attori veri), con vista sulla città dei Chinonso (Whoville nell’originale inglese).

In contrasto con gli allegri Chi, il Grinch è misantropo, scontroso, solitario e irascibile, con un cuore che è “di due taglie troppo piccolo” (l’unica eccezione a questo è alla fine del racconto, dove diventa “di tre taglie più grande”). In particolare odia il periodo natalizio, prendendo nota in particolare di quanto siano odiosi per lui i vari rumori di questa stagione, incluso il canto dei cori. Non riuscendo più a sopportare questa festa, decide di distruggerla una volta per tutte.

Aiutato dal suo cane Max, il Grinch si traveste da Babbo Natale e, durante la notte della Vigilia, irrompe nelle case dei Chi per rubare le decorazioni e tutti i regali e portarli sulla montagna per buttarli come fossero spazzatura. Anche se riesce a compiere il furto con successo, è scioccato nel sentire i Chi che cantano ancora allegramente, felici semplicemente di avere l’un l’altro. Si rende quindi conto che la festa ha un significato più profondo che non ha mai considerato. Ispirato, impedisce alle cose dei Chi di cadere dal bordo della montagna e nel frattempo il suo cuore cresce di tre dimensioni. Restituisce tutti i doni che ha rubato e partecipa volentieri alla celebrazione del Natale dei Chi.

L’elemento che forse può guidarci e darci qualche risposta è la campana. Con più rigore in Germania, ma anche in Italia, è praticata una vera e propria scienza delle campane, detta campanologia, che studia le campane dal punto di vista acustico, fisico e anche costruttivo. Dal sito dell’Associazione Italiana di Campanologia (qui) desumiamo informazioni preziose sul suono delle campane.

Nella figura sono indicate le zone di origine dei principali toni parziali: principali, poiché una campana ne genera in media circa 56; inoltre sono chiamati toni parziali e non armonici perché non sono generati a partire da una sola nota fondamentale ma da più fonti sonore contemporanee.

Il suono di una campana è, come per tutti i suoni, composto da un transitorio d’attacco, da un regime stazionario e da un transitorio di estinzione o di risonanza decrescente. Quando il battacchio colpisce la campana suscita un suono complesso del quale il nostro orecchio riconosce la frequenza detta ‘prima’ e che identifica il tono della campana, seguito da un regime stazionario pressoché inesistente (laddove negli strumenti musicali è questa la fase che ne caratterizza il timbro) e poi da una lunga risonanza decrescente in cui possiamo percepire una quinta, un’ottava superiore e una inferiore ed infine una terza. Minore, però: almeno fino al XX secoli nessuno è riuscito a far generare una terza maggiore a una campana.

Questo aspetto è quello che associa al suono delle campane, per quanto festoso soprattutto quando costruttori intelligenti combinano un concerto di campane gradevole e rapido, un che di malinconico: quel suono di unica campana di chiesa di campagna che annuncia il vespro, ad esempio, e che noi percepiamo in distanza come di una sola nota (la ‘prima’) ma che in realtà porta con sé un accordo minore.

Già, minore. Come in ‘Carol of the Bell’. I conti iniziano a tornare.

Giovanni Pascoli coglie per noi il senso di questo suono, nella splendida ‘Campane a sera‘:

Forse per la giornata uggiosa con una pioggia interminabile, mi torna in mente la prima prefazione alle Dimore Filosofali di Fulcanelli, scritta da Eugène Canseliet, laddove parla della quarta campana il cui suono evoca la fine del mondo, facendo riferimento a questa immagine:

Riprendiamone tutto il passo: “Dallo stesso punto di vista che abbiamo esposto sopra, non abbiamo dubbi che il Maestro avesse classificato, nelle sue dimore filosofali, uno dei magnifici capitelli provenienti dalla basilica romanica di Cluny, in Saône-et-Loire, di cui l’Abbazia celebre, comprendente la biblioteca costituita dai più preziosi volumi manoscritti, in gran parte saccheggiata e devastata dai calvinisti nel 1562, fu totalmente distrutta, nel primo anno della Repubblica, dalla soldatesca rivoluzionaria. In questa scultura… riconosciamo l’araldo della quarta età, prossima al termine, del ciclo che si sta chiudendo. Si tratta di un giovane che indossa una lunga tunica e che porta sulla spalla un bastone con alle estremità un campanello. Un terzo, senza batacchio, è trattenuto, mediante una sorta di cinghia, sull’avambraccio sinistro del nostro impiegato. Senza dubbio, nella mano destra stringeva un martello, con l’unico scopo di suonare la più terribile campana a morto, in quell’ufficio che lo sottopone a durissime contorsioni.
La ciclica campana a morto che annuncia l’abominio della desolazione ai popoli, numerosi e gregari, che vivranno gli ultimi fasti dell’età del Ferro.
Ma, si obietterà, cosa c’è di sorprendente, se non, senza di più, “il tintinnabulum” che fu caro al Medioevo romanico e che ritroviamo, similmente rappresentato, su due capitelli non meno mirabili; uno, a Vézelay, nella chiesa della Madeleine, l’altro, ad Autun, nella cattedrale Saint-Lazare?

C’è infatti che il personaggio, figurato in altorilievo, entro una mandorla, trae tutto il suo significato ermetico, dall’esergo latino che è inciso incavato sul bordo piatto dell’ellisse e che racconta, molto chiaramente, la gesticolazione dell’araldo apocalittico, al futuro fatale della pluralità degli uomini:

SUPLEDIT QVARTVS SIMVLANS IN CARMINE PLANCTUS.

Egli sferra, riproducendo, in obbedienza alla profezia, il quarto colpo”.

Non sfugge all’osservatore che il secondo portatore di campane, del tutto affine al precedente, riprodotto a Autun, abbia però un ruolo passivo in quanto in questo caso altri DUE personaggi colpiscono con i loro martelli le campane. Del capitello di Vezelay non ho potuto reperire l’immagine.

Ma arriviamo alla scritta incisa nell’amigdala che contiene il nostro portatore/suonatore di campane: “SUPLEDIT QUARTUS SIMULANS IN CARMINE PLANCTUS”. Abbiamo visto che Canseliet traduce: “In obbedienza alla profezia, batte, riproducendolo, il quarto colpo”. Come molto spesso accade in Canseliet (che peraltro in nota in questo caso giustifica in parte le scelte di traduzione) questa versione non è letterale. Come accade ancora più spesso, i termini usati in questo basso Latino hanno significati molteplici: ad esempio ‘planctus‘ è al tempo stesso ‘colpo’ e ‘lamento’ (ci si batteva il petto, nei funerali…), ma anche, proprio nel periodo dei capitelli (XI secolo) il nome di composizioni musicali monodiche di compianto. La forma musicale è anche più antica, come in questo esempio (in cui c’è anche un glockenspiel, o tintinnabulum, per restare in tema):

Canseliet inoltre traduce ‘simulans in carmine‘ con ‘riproducendo come nella profezia’. Indubbiamente una traduzione corretta, ed esteticamente adeguata alle abilità di latinista del compianto Maestro. Prima però di analizzare ‘simulans’, vorrei soffermarmi sulla parola ‘carmen’ che ha radice comune – incidentalmente – con ‘carol’ e ‘carola’ ed il cui primo significato è ‘canto’, ‘melodia’ (in italiano, per quanto desueto, esiste il termine ‘carme’), e via via ‘poesia’ e ‘incantesimo’ (da in e cantus). D’altronde, se in molte tradizioni (norrene, o nel Popol Vuh, fino al ‘contemporaneo’ Tolkien) il mondo è creato con il canto, allo stesso modo esso potrebbe essere terminato, con un possente ‘Dies Irae’ come quelli di Mozart o di Verdi o anche, fatte salve le differenze di linguaggio musicale, del nostro amato Ockeghem, o più melanconico come il gregoriano:

Il testo del Dies irae è zeppo di suggestioni alchemiche che non sfuggono all’operatore anche all’inizio del cammino: chissà se Canseliet volesse condurci proprio lì? Ci torneremo, in parte. Per quanto riguarda ‘simulans’ tradurremmo letteralmente ‘simulando’: d’altronde ogni atto magico è una simulazione, un’imitazione di un rituale già scritto, e in Alchimia, ancor di più che in magia, la ripetizione, la reiterazione sono atti fondamentali; e l’Alchimista è ‘Simia Dei’ (e le scimmie forse si chiamano così per la loro attitudine imitativa).

Ma per la creazione alchemica si passa per un atto, almeno apparentemente, distruttivo: l’Alchimista stesso ‘solvet seclum in favillam‘ per avere un corpo nuovo, differente: la Fenice che rinasce dalle proprie ceneri non è la stessa che è bruciata via, ma il ‘figlio più bello del padre‘.

E pur sempre di un Figlio si tratta, un Figlio di Dio… ricordate Lucarelli alla Sorbona? Un figlio che ciclicamente, a ogni fine d’anno, rinasce quando il buio è più fitto (il paragrafo di Canseliet precedente a quello che abbiamo analizzato ne parla).

Elémire Zolla ci ricorda che “Fra le cose si sta come tra suoni di campana in una foresta di notte, dice Paracelso, e se la loro causa ci resta sconosciuta è perché non camminiamo nella luce“.

Infine, costanti riferimenti al suono e alla musica ci fanno ritenere che debba in qualche modo entrare in gioco una vibrazione, una risonanza…

Ascoltiamo dunque il suono delle campane: è malinconico, ma contiene un messaggio antico di speranza, velato sotto un annuncio ferale.

Auguri per un Avvento sereno

Chemyst

Le Feu du Printemps

Cari Compagni,

ci siamo!  Dice Elemire Zolla, l’Alchimista del Verbo, come lo ha definito Paolo Lucarelli, ovvero colui che ha penetrato con il solo studio dei testi più di un segreto operativo alchemico, che un osservatore posto in un luogo propizio possa sentire un tuono quando il Sole entri in Ariete.

È un’immagine suggestiva, romantica se volete, sicuramente benefica per chi abbia la possibilità di sperimentarla, ma ha – e come dubitarne – dei risvolti ‘filosofici’: è infatti in Primavera che la Natura si risveglia per mezzo del Fuoco (I.N.R.I.), e l’Ariete  (connesso a Marte) è un segno di Fuoco, ed è proprio Marte (in qualche modo) che ci consente di ‘aprire la porta’ e fornire un altro Fuoco, Sulfureo nel miglior intendimento filosofico possibile, alla nostra ‘progenie di Saturno’. Ma – come per tutte le cose nella nostra manifestazione duale – per semplicemente ‘essere’ – ha bisogno di un’Acqua, un Mercurio magari… Ed ecco che il Fuoco che ci necessita ci viene fornito da un’Acqua mirabile, in-formata di Fuoco…

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Più mi addentro in questo meraviglioso garbuglio in cui tutte le cose cambiano di segno, e più con gioia scopro che i segni e le polarità di ogni materia, agente, sostanza o sale, sfuggono alla nostra categorizzazione, e minano ogni nostra certezza. Eppure comincio a vedere, in tutto ciò, una grande bellezza.

E scopro così che, in fondo, ogni acqua (anche quella per fare la pasta) è un fuoco.

Buona Primavera a tutti i Folli, ma proprio a tutti, dalla Sicilia, dalla Campania, dalle mie verdi e martoriate contrade, dalla verde Sardegna e dall’ancor più verde, direi Vitriolica, Umbria, alle campagne dell’Urbinate, alle pianure d’Emilia e di Romagna ed a quelle Mediolanensi, alle acquee contrade Pavesi, alle magiche strade Torinesi e finanche ai monti del Trentino, ovunque ci sia un Cercatore (purchè d’animo sincero e dal cuore affettuoso) che celebri l’Acqua Ignea della Luminosa Rinascita della Natura prodiga e feconda.

Ed ora,  al lavoro…

Chemyst

Impressioni di settembre…

Cari Amici,

questa sera, uscendo dal mio studio per tornare a casa, con la testa piena di pensieri sulle controversie della vita lavorativa, d’istinto decido di portare con me un libro che ho appena comprato, La via dell’Alchimia Cristiana di Severine Batfroi, ed un altro che mi hanno regalato tempo fa, L’Arte Magica di Andrè Breton.

Appena uscito, volgo lo sguardo al Cielo e m’immergo nell’abbraccio conforrtante di una Luna quasi piena, che irradia la sua Luce benefica in una sera dolce e tersa… Ci credete? mi sono sentito rassicurato e felice, noncurante del futuro (quale futuro??? Ma il tempo… esiste?).

A volte penso che la vita sia davvero strana. Due anni fa, accolsi il pressante invito di un Amico a studiare più a fondo l’Alchimia, con metodo, dedicandovi tempo, calma e profonda riflessione. Aderii, non potendo pensare di fare altrimenti… ebbene, ricordo quelle ore passate in poltrona a studiare Fulcanelli, poi Altus, poi Canseliet, Filalete, come un periodo felice, gioioso, denso di scoperte e (rileggendo quegli appunti) di clamorose cantonate…

Poi, come una Nemesi, la vita comune ti osteggia e ti frena, accadono cose spiacevoli, altre indubbiamente piacevoli, tutte però dirette altrove dalla Cerca che tanto amiamo. Lucarelli l’aveva detto, l’aveva confidato all’amico Elemire Zolla, che mettendosi sui sentieri di Dama Alchimia sarebbe successo: “ si suda, si secerne… riceve informazioni che lo atterriscono…. uno stato di terrore controllato…”: sono queste avversità, queste distrazioni molteplici facce del Guardiano della Soglia, una prova da superare?

Molte cose sono accadute da allora. Ma stasera, la Luna mi ha ridato coraggio. Il cammino nel Bosco, mai interrotto, riprende forza e vigore.

Chemyst