I N R I

Cari Fratelli,

come ogni anno, Natura apre la porta a chi non ha paura di credere nel meraviglioso. Come ogni anno, l’Equinozio e la Luna determinano l’inizio dei Lavori filosofici, tanto quanto per la determinazione della data della Pasqua: le due date, in qualche modo, si muovono parallele.

 

Fulcanelli, a proposito della Festa Asinaria, cita i versi:

Haec est clara dies clararum clara dierum,

Haec est festa dies festarum  festa dierum

 

*

*       *

 

D’altra parte, la Crocifissione di Nostro Signore può leggersi, con gli occhi di un Alchimista, come una grande metafora dell’Opera.

Non c’è tempo, oggi, per analizzarla a fondo: mille piccole messe a punto nei nostri Laboratori ci tengono occupati. Ricordo solo, con l’auspicio per chi cerca con sincerità di esserne veramente parte, come l’Alchimista legge l’acrostico cristiano INRI:

Igne Natura Renovatur Integra

Che sia stagione propizia a chi cerca con lo sguardo sincero di un bimbo!

 

Chemyst

Dunstable: dove tutto ebbe inizio…

Ci siamo spesso interrogati sulla possibilità che testi sacri veicolassero tradizioni sapienziali, in particolare alchemiche, attraverso allegorie che ritroviamo, più o meno integralmente, all’interno dei testi degli Adepti.

Vero è che Essi stessi, notando la similitudine con operazioni di Laboratorio, abbiano utilizzato questo mezzo per suggerire ed indicare là dove neanche a Loro era dato di svelare ‘apertis verbis‘.

jdunstableTuttavia, l’aderenza estrema della similitudine (o allegoria, se volete) di alcuni testi lascia apertissima l’ipotesi che essi stessi siano stati concepiti su due (o più) livelli di lettura, uno dedicato alla Fede e l’altro (o gli altri) ai Figli dell’Arte, come direbbe Eugene Canseliet.

Abbiamo inoltre visto come, in alcuni casi, l’aderenza del testo al messaggio ‘subliminare‘ alchemico sia stata esaltata e corretta all’uopo dal compositore che lo ha posto in musica, con artifici musicali e non: ricordate l’Alleluja pentecostale di Hesdin? l’autore ha integrato il testo base con altri brani (come quelli della Liturgia di Sarum) per accentuare il concetto di Fuoco dello Spirito.

Dopo alcuni anni di studio e di ricerca, quindi, mi capita di riconoscere in alcuni brani musicali queste caratteristiche e grazie a questo mezzo le condivido con voi, amati Fratelli di Cerca, e con tutti i Curiosi di Natura sinceri.

Ascoltavo dunque oggi ‘Quam pulchra es‘ nella versione musicale  di John Dunstable, autore inglese che sviluppò, nell’isolamento relativo della bianca Albione, uno stile musicale differente da quello che andava evolvendo nel continente europeo. Tuttavia, una volta che i Maestri del Nord Europa vennero in contatto con le musiche di Dunstable e Powers ne importarono  ed elaborarono le caratteristiche dando origine  all’importantissima scuola Franco-Fiamminga: ormai oggi i trattati musicologici affermano – e io non posso non trovarlo comunque singolare – che il caposcuola dei compositori franco-fiamminghi sia stato un Inglese.

Quam pulchra es‘ è un mottetto a 3 voci su un testo del Cantico dei Cantici, che Dunstable così dispone:

Quam pulchra es et quam decora, 

carissima, in deliciis tuis

Statura tua adsimilata est palmae

et ubera tua botris.

Caput tuum ut Carmelus

Collum tuum sicut turris eburnea.

Veni, dilecte mi, egrediamur in agrum

Et videamus si fructus parturiunt

Si floruerunt mala punica

Ibi dabo tibi ubera mea.

Alleluja 

La bella versione (Hilliard Ensemble) che ho ascoltato è la seguente: un osservatore attento potrà cogliere qualche utile spunto anche dalla partitura.

Il testo appare diviso in due sezioni: nella prima è il maschio che parla, nella seconda è la risposta della femmina. Una traduzione del testo potrebbe essere questa:

Quanto sei bella e quanto nobile,

carissima, nelle tue delizie.

La tua statura è assimilata alla palma,

ed i tuoi seni ai grappoli d’uva.

La tua testa [è] come il Carmelo

il tuo collo come una torre d’avorio.

Vieni, mio amato (o mio prescelto?), usciamo nel campo

e vedremo se i frutti partoriranno. 

Se fioriranno i melograni,

io ti donerò i miei seni.

Alleluia

Come accennato, la disposizione originaria dei versetti qui non è rispettata da Dunstable: più fedele è Palestrina, il quale ha posto in musica l’intero Cantico dei Cantici, che fotografa nel suo mottetto l’aspetto più sensuale e caratteristico di questa sezione del Libro Sacro: l’amante (maschio) dopo la lode  iniziale, dice: “Salirò sulla palma e prenderò i suoi frutti, e saranno le tue mammelle come i grappoli della vigna, ed il tuo odore come l’odore delle mele“.

Diversamente da Palestrina, Dunstable inserisce dei versi successivi, ma con una concatenazione logica: dopo l’accenno ai grappoli d’uva (ricorrente allegoria nelle iconografie alchemiche) egli inserisce la similitudine della testa dell’amata con il Monte Carmelo che, come ci suggerisce Chiara Tamagno (http://www.terrasantalibera.org/COMUNICATO%20MONTE%20CARMELO%20VIGNA%20DI%20DIO.htm) “Kerem El in ebraico vuol dire «vigna di Dio» e la collina, ricoperta di vigneti e scavata da grotte e anfratti, è stata per millenni rifugio per quanti volevano ritirarsi ad ascoltare lo spirito del Signore”.

Il grappolo d’uva quindi è presente sia sul Monte Carmelo sia nella similitudine del seno dell’amata. E’ un simbolo ricorrente nell’iconografia alchemica: il primo esempio che mi viene in mente è l’incisione di Jacques de Senlecques per la copertina del trattato ‘Anatomie du Vin‘ del medico ed alchimista francese Brouat:

Nell’immagine, si può vedere come Basilio Valentino ne sprema uno su di una tartaruga. Alle sue spalle, sulla sinistra, in un’immagine allegorica ‘riassuntiva‘ piuttosto interessante, c’è un tralcio di vite  con altri due grappoli. Amo particolarmente quest’immagine, per il suo contenuto musicale, di cui parlammo a lungo qui. Nel medesimo libro vi è un’altra immagine a me cara, che Eugene Canseliet, il quale era anche un bravo pittore, ha così rielaborato nel suo libro ‘Trois Anciens Traités d’Alchimie‘:

Il commento all’immagine nel libro è focalizzato massimamente al simbolismo della Fenice, che sovrasta tutto il resto. Resto affatto trascurabile, consistente un uno scudo che contiene iscrizioni ed immagini preziose. Già notammo e commentammo le immagini musicali poste nella fascia inferiore, e ne sottolineiamo ancora l’analogia con quelle dell’immagine precedente. Quel che adesso però ci preme di evidenziare è la presenza, anche qui, di due grossi grappoli d’uva, dipinti da Canseliet  di coloro rosso scuro, posti al di sotto del Sole sul quarto superiore di destra di un cerchio contenente i simboli di Saturno, Giove, Marte e di un globo crucifero aureo piuttosto singolare. Il ramo cui sono attaccati regge anche tre pampini verdi, numero che ricorre anche nell’immagine precedente. Altri grappoli d’uva sono su un ramo, in numero di 11, gemello di un altro ramo che ha su di sé una vegetazione spiraliforme di colore verde.

Ecco, il testo musicato da Dunstable evoca immagini ricche dei colori della vegetazione: il verde, appunto, delle foglie della palma, il bianco della torre eburnea riferita al collo della fanciulla amata, il nero dei grappoli d’uva ed il rosso dei semi del melograno. Di quest’ultimo parla a lungo Fulcanelli nel Mistero  delle Cattedrali, Palazzo Lallemant di Bourges:

I simboli ed i rimandi di questo passo del Cantico dei Cantici sono in numero soverchiante per poterli commentare tutti in un post: aggiungerò soltanto che nell’ordine ricreato da Dunstable del testo forse si porta all’attenzione l’analogia dei grappoli (che il presunto Basilio Valentino ‘spreme’ sul suo bruciatore) con le mammelle di una fanciulla (forse Vergine?) dalla pelle bianca come una torre d’avorio, dalle quale, un giorno, sgorgherà un latte. Ma il colore dei grappoli d’uva è nero, come i riccioli della testa della fanciulla, paragonati alla Vigna del Signore.

Io ci intravedo molte e precise indicazioni operative. E voi?

Un caro saluto,

 

Chemyst

 

Un Mistero Grande: la Natività…

Cari Compagni di Cerca,

come ogni anno torna il Natale, con i suoi riti sacri e profani, con le sue lunghe notti ed i suoi giorni brevi, e quella sensazione che qualcosa stia comunque accadendo… Un ritmo che si rimette in modo, come ogni anno, per preparare Primavera.

Un pensiero a tutti voi (non molti, ma penso altrettanto innamorati), sorridendo mentre rileggo le parole di Lucarelli: ‘Per fare un Messia, ci vuole una Vergine Immacolata‘… davvero un Mistero Grande!

Doveva saperlo, l’allievo di Palestrina, quando ha concepito questo capolavoro:

 Buon Natale a tutti!

Chemyst

Sicut Cervus: Palestrina esoterico?

Cari Compagni di Cerca,

quelle che seguono non sono parole mie, ma probabilmente di un religioso. Sembrano scritte invece da un sincero Cercatore, e farebbero la felicità di Severine Batfroi

“Scritto da Giovanni Pierluigi da Palestrina, Sicut Cervus è da molti considerato l’ esempio più significativo di arte corale religiosa del Rinascimento. Il testo latino è tratto dal Salmo 42:

Come la cerva anela ai corsi d’ acqua,

così l’ anima mia anela a te, o Dio”.

Per i cattolici del XVI secolo le parole del Salmo evocavano due momenti di estrema importanza liturgica. Il primo si svolgeva durante la veglia pasquale, attraverso la liturgia del fuoco e la benedizione dell’ acqua: il buio penitenziale della Quaresima terminava con l’ accensione del fuoco nuovo, il canto dell’ Exultet, le litanie dei Santi e il canto dell’ Alleluia. Durante questa celebrazione i nuovi convertiti alla fede venivano esaminati e ricevevano il Santo Battesimo, e il giorno di Pasqua la loro prima Comunione. Sicut cervus veniva cantato durante la processione al fonte battesimale. In questo contesto, le parole del Salmo risuonavano come le acque sacramentali del Battesimo, e come l’ acqua viva dell’ Eucaristia.

Lo stesso canto veniva utilizzato anche in un’ altra liturgia: la Messa da Requiem [omissis]. Nella solenne liturgia di un funerale, nell’anniversario di una morte, o durante la commemorazione di tutti i defunti, il canto Sicut Cervus risuonava di nostalgia, di speranza e aspirazione: l’anima desidera ardentemente tornare alla sua vera dimora al cospetto di Dio.

Oggi il senso generale della nostalgia dell’anima all’unione con Dio [omissis] rende Sicut Cervus una scelta eccellente per il momento della Comunione”.

(http://tavernolaincanto.altervista.org/blog/2011/04/sicut-cervus-palestrina/)

Alle parole Sicut Cervus, per un vecchio frequentatore della oggi piuttosto disprezzata (paradossalmente in ambito clericale) polifoinia sacra, si associa inderogabilmente il nome di Giovanni Pietro D’Aloisio detto ‘Il Palestrina‘, che ne ha utilizzato il testo per comporre uno dei capolavori della musica sacra d’ogni tempo:

Subito evidente, se seguiamo la musica raffigurata, è la resa (musicale e grafica) di Palestrina della parola ‘aquarum‘ con dei melismi che ricordano le onde; meno evidente all’analisi formale, ma con l’aiuto dell’ascolto più chiaro, è il perchè Palestrina usi una sequenza ascendente sulla parola desiderat: all’orecchio infatti la ‘t‘ si apprezza meno, ed ecco che l’anima cerca qualcosa ‘de sidera‘, dagli astri, insomma dal Cielo, ed andando la melodia verso l’alto, ad esso tende. A noi poveri folli, inoltre, appare quasi ovvio che le ‘acque‘ cui tende il ‘cervus‘ sono quelle superiori, al di là dei ‘sidera‘ di cui sopra…  e la melodia del Superius (osservatela, mentre scorre la musica) quando si canta la parola ‘aquarum‘ si raggiunge una nota più alta (il do) rispetto al ‘si’  di quando si parla di ‘sidera‘: conosceva bene dunque il Palestrina la cosmologia ermetica! Di qui discende un’ulteriore considerazione cosmologica che lascio ai più attenti ed acuti Cercatori, ma che non dirò: posso solo suggerire che a sua conferma è opportuno rileggere Genesi magari consultando le fonti ebraiche e, perchè no, quanto raccontava, scherzando a modo suo, Paolo Lucarelli nel suo Discorso alla Sorbona al convegno su Canseliet.

Curiosa peraltro è la traduzione di Cervus con ‘Cerva‘: a sottolinearne forse la matrice mercuriale e quindi passiva, femminile, che peraltro mal si sposa con la concezione di anima legata allo zolfo, principio di natura maschile. Un dubbio analogo, che crediamo egli pose come spunto di riflessione, è espresso proprio da Canseliet in Due Luoghi Alchemici nel capitolo sul Crevo sottomesso. Un amico barbuto, ora, so che ridacchia dietro la pipa e pensa: “E’ l’eterno scambio di cappelli fra zolfo e mercurio“.

Sempre Eugene Canseliet,  e sempre in ‘Due Luoghi Alchemici’, nel commentare il cassettone del Plessis-Bourree (anzi  nella didascalia dell’immagine) cita però il testo della Vulgata, dove questo Salmo è numerato al XLI:

1 in finem in intellectum filiis Core

2 quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum ita desiderat anima mea ad te Deus

3 sitivit anima mea ad Deum *fortem; vivum quando veniam et parebo ante faciem Dei

Per definitiva completezza, citiamo allora anche la King James Version, di cui c’intriga particolarmente la dedica:

1 To the chief Musician, Maschil, for the sons of Korah.

As the hart panteth after the water brooks, so panteth my soul after thee, O God.

2 My soul thirsteth for God, for the living God: when shall I come and appear before God?

Palestrina dunque potrebbe anche lui aver ‘passato’, più o meno consapevolmente, messaggi di significato alchemico nelle sue composizioni vocali, cosa che chi ci segue sa che individuammo con grande frequenza negli autori Franco-Fiamminghi. Tuttavia, vi sono anche dati biografici del compositore che lo legano a questa scuola. Tanto per cominciare, i Cantori delle varie cappelle vaticane ed i loro Maestri di Cappella erano tradizionalmente Fiamminghi. Lo stesso Papa Leone X è stato cantore, e quando salì al Soglio Pontificio contribuì con scelte sagaci a mantenere ed accrescere il prestigio e la tradizione delle cappelle Papali. Dal canto suo, anche Palestrina ebbe verosimilmente come insegnanti prima Rubin Malapert (o Robin Mallapert, ma il primo nome mi suona più ‘cabalistico’ 😉 ) e poi Firmin Lebel; eccone qualche nota biografica da Wikipedia, da Treccani.it  e con mie integrazioni tratte dal Reese:

Le Bel , Firmin. – Musicista (Noyon inizî sec. 16º – Roma 1573). A Roma fu cantore e maestro di cappella a S. Maria Maggiore e a S. Luigi de’ Francesi, e cantore della Sistina; compositore di musica sacra. Fu maestro di G. P. da Palestrina. (fonte: Treccani.it). Sottolineo, a futura memoria, che Noyon è vicino a Saint Quentin, importante centro di produzione musicale fiammingo. Lì visse i suoi ultimi anni ed è sepolto il grande  Loyset Compére.

Mallapert (o Malapert), Rubin. – Musicista francese (sec. 16º); attivo a Roma, quale maestro di cappella a S. Maria Maggiore, a S. Luigi dei Francesi, a S. Pietro, a S. Giovanni in Laterano (1538-61).

In quegli stessi anni era attivo a Roma anche Jehan l’Heritier (letteralmente Giovanni l’Erede, nel senso di erede di Josquin Desprez…) di cui eseguimmo un bellissimo Nigra sum sul cui tema il Palestrina ha composto una splendida Messa nello stile della parafrasi. Inoltre, a Roma in quel periodo c’era  anche Jakob Arcadelt, di ci parlammo qui, e che potrebbe in qualche modo aver contribuito all’istruzione (a questo punto tutta fiamminga: l’altro nome che secondo qualcuno potrebbe aggiungersi ai ‘Maestri’ di Palestrina è il francese Roussel, anch’egli dotato di nome alquanto suggestivo: Rous(eé) Sel = Sale di Rugiada).  Comunque, Arcadelt Nel 1539 è a Roma come membro della Cappella Giulia. Nello stesso anno pubblica quattro libri di madrigali. Ristampati molte volte essi gli daranno fama europea. Poco dopo (nel 1540) viene nominato “magister puerorum” (direttore del coro di fanciulli) e successivamente maestro del coro della Cappella Sistina. Spesso la chiarezza dello stile compositivo di Arcadelt e di Palestrina sono state accostate, e sembra ragionevole pensare ad un contatto e ad una reciproca influenza dei due compositori.

Per chiudere il cerchio, aggiungerò che, come detto dal religioso citato in apertura, il ‘Sicut Cervus‘ compare in alcune versioni antiche del Requiem: questo insieme di composizioni ha avuto per lungo tempo una struttura variabile, e quasi ogni compositore antico ne ha prodotta una propria. Ecco di seguito quella di Johannes Ockeghem, uno dei primi maestri franco-fiamminghi ed un compositore di straordinaria statura e profondità.

Appare dunque chiaro che questo Salmo ha ispirato più di una generazione musicale, anche se quelle toccate in questo post appaiono sottilmente legate da una sorta di ‘scuola’, o comunque di vicinanza culturale fra due eccelsi musici. Quanto di voluto ci sia, non è dato saperlo: se sia un consapevole passaggio di testimone o se sia un gioco dell’intelligenza di Madre Natura, non importa, è bello ed incoraggiante che ciò sia avvenuto.

Ed avviene ancora: già da quando ho iniziato a scrivere il post mi è sovvenuta una canzone di chiesa degli anni ’70, che ho cantato e suonato all’epoca, e che grazie a YouTube ho ritovato, con tanto di testo, molto suggestivo nonostante la veste pop, nella versione di un’emula di Giombini, Giosy Vento:

1. Ho bevuto a una fontana un’acqua chiara
che è venuta giù dal cielo….
Ho sognato nella notte di tuffarmi nella luce del sole…..
Ho cercato dentro me la verità.
Ed ho capito, mio Signore, che sei tu la vera acqua,
sei tu il mio sole, sei tu la verità …
2. Tu ti siedi sul mio pozzo nel deserto
e mi chiedi un po’ da bere…..
per il sole che risplende a mezzogiorno ti rispondo…..
ma tu sai già dentro me la verità.
3. Un cervo che cercava un sorso d’acqua
nel giorno corse e ti trovò…..
Anch’io vo cercando nell’arsura sotto il sole…..
e trovo dentro me la verità.

Che dite, tutto questo davvero può essere un caso?

Con affetto

Chemyst

Antoine Busnoys, un ‘Homme Armé’ ed un amore impossibile… o forse no

Carissimi Compagni di viaggio,

mi sono imbattuto, nelle mie scorribande su YouTube, in alcuni brani di Antoine Busnoys (o Busnois), figura gigantesca della scuola Borgognona, dalla controversa biografia, di vastissima cultura e che condivide fama di caposcuola assieme ad Ockeghem il quale,  forse anche grazie alla sua lunga vita, ha conservato, ad oggi, più grande (e meritata) fama. Eccovi qualche dettaglio da Wikipedia:

Antoine Busnois (anche Busnoys) (Busnes, vicino Béthune, 14306 novembre 1492) è stato un compositore e poeta francese, appartenente alla Scuola di Borgogna del primo rinascimento. Famoso come compositore di musica sacra, come mottetti, egli fu anche uno dei più rinomati compositori di chanson profane del XV secolo. Egli fu anche la figura preminente della tarda Scuola di Borgogna dopo la morte di Guillaume Dufay.

Blasone di Busnes

I dettagli della sua vita sono puramente da interpretare, ma si presume che nacque a nei pressi di Calais, forse nel villaggio di Busnes (che poi tanto ‘villaggio’ non doveva essere, visto che ha un proprio blasone), a cui il suo cognome sembra riferirsi. Egli può essere nato in una delle famiglie aristocratiche di Busnes; in particolare, Filippo di Busnes, un canonico della Cattedrale di Notre Dame di Lens potrebbe essere stato un suo parente.

Busnois ricevette una eccellente educazione musicale, probabilmente nella scuola del coro di una qualche cattedrale nel nord (perchè non proprio Bethune?) o nel centro della Francia. L’origine aristocratica può spiegare la sua presenza in giovane età presso la Corte francese: sin dal 1450 sembra che vi si trovasse e nel 1461 era già cappellano a Tours. Che non fosse uno stinco di santo è dimostrato da una richiesta di assoluzione, presentata il 28 febbraio 1461, in cui ammette di aver fatto parte di un gruppo di cinque persone che “avevano pestato a sangue” un prete, non una ma ben cinque volte. Mentre era in stato di interdizione dalla messa, ebbe l’ardire di celebrare messa e per questo venne scomunicato; in ogni caso fu poi perdonato da Papa Pio II.

Si spostò quindi nella Chiesa collegiata di san Martino, sempre a Tours, dove divenne suddiacono nel 1465. Johannes Ockeghem era tesoriere in quella chiesa ed i due ebbero modo di conoscersi bene. Alla fine del 1465 Busnois si spostò a Poitiers, dove non soltanto divenne maestro del coro dei ragazzi, ma si adoperò per attrarre dei bravi cantori da tutta la regione; da questo tempo la sua fama di maestro di canto, studioso e compositore si diffuse in tutta la Francia. In ogni caso partì così improvvisamente, come era arrivato, alla fine del 1466; non si conobbe il motivo della sua partenza ma il suo incar

Carlo il Temerario (Carlo l'Audace)

ico venne dato nuovamente al suo predecessore. Lasciata Poitiers, Busnois si trasferì in Borgogna. Dal 1467 Busnois fu alla corte di Borgogna, ed egli iniziò a comporre per Carlo l’Audaceprima che questi assumesse il titolo di Duca il 15 giugno; ciò si desume da uno dei sui mottetti in hydraulis che contiene una dedica dalla quale risulta che era già Conte. Carlo nel divenire Duca di Borgogna, acquisì prest il soprannome di Carlo l’Audace per la sua fierezza e per le sue ambizioni militeri (che lo porteranno alla morte dieci anni più tardi). Assieme alla sua passione per la guerra, Carlo amava la musica e Busnois fu apprezzato e riverito nella Corte di Borgogna.

In una lista del 1467, Busnois assieme a Hayne van Ghizeghem e Adrien Basin, era citato come “cantore e valletto di camera” di Carlo. Assieme alle sue doti di Cantore e compositore dimostrò doti di guerriero (è stato egli stesso, quindi, un Homme armee) accompagnando il Duca nelle sue Campagne militari, così come faceva Hayne van Ghizeghem. Busnois fu all’assedio di Neuss in Germania nel 1475 e sopravvisse, o non vi partecipò, alla disastrosa Battaglia di Nancy del 1477, nella quale Carlo venne ucciso e cominciò a scemare l’espansione della Borgogna. Busnois rimase alla Corte di Borgogna fino al 1482, ma non si conosce dove sia stato e cosa abbia fatto fino al 1492 quando morì. Al tempo della sua morte si trovava alla chiesa di san Saverio a Bruges. In questo periodo egli era conosciuto in tutta Europa ed i suoi manoscritti circolavano largamente nelle cattedrali.

La sua musica è sorprendentemente ‘moderna’ per il periodo, e sicuramente influenzerà la sua evoluzione, considerando che si trasmetterà lungo un ipotetico ‘asse’ che partendo da lui e da Johannes Ockeghem passa agli  allievi di quest’ultimo, fra cui spicca Josquin Desprez, affiancato da Pierre de la Rue, Loyset Compere, Antoine Brumel, solo per ricordare gli allievi indicati nella magistrale ‘Deploration‘ scritta per la morte di Ockeghem dallo stesso Josquin su testo di Jean Molinet.

Fra le tante cose belle, una prima composizione che mi ha colpito, innanzitutto per la scelta del testo, è ‘Anima mea liquefacta est‘, il cui testo è il seguente:

Anima mea liquefacta est, ut dilectus locutus est.  

Quaesivi et non inveni illum; vocavi et non respondit mihi.  

Invenerunt me custodes civitatis,

percusserunt me et vulneraverunt me.

Tulerunt pallium meum custodes murorum.  

Filiae Hierusalem, nuntiate dilecto quia amore langueo.

Anche altri Autori, come Giovanni Croce, si sono cimentati nel musicare questo testo. Eccone la versione inglese, come riportata nella Bibbia di Re Giacomo (testo linkato da Sabine Cassola proprio dalla sua trascrizione della versione di croce di questo mottetto su CPDL.org).

Song of Solomon, 5

1.    I am come into my garden, my sister, [my] spouse: I have gathered my myrrh with my spice; I have eaten my honeycomb with my honey; I have drunk my wine with my milk: eat, O friends; drink, yea, drink abundantly, O beloved.
2.    I sleep, but my heart waketh: [it is] the voice of my beloved that knocketh, [saying], Open to me, my sister, my love, my dove, my undefiled: for my head is filled with dew, [and] my locks with the drops of the night.
3.    I have put off my coat; how shall I put it on? I have washed my feet; how shall I defile them?
4.    My beloved put in his hand by the hole [of the door], and my bowels were moved for him.
5.    I rose up to open to my beloved; and my hands dropped [with] myrrh, and my fingers [with] sweet smelling myrrh, upon the handles of the lock.
6.    I opened to my beloved; but my beloved had withdrawn himself, [and] was gone: my soul failed when he spake: I sought him, but I could not find him; I called him, but he gave me no answer.
7.    The watchmen that went about the city found me, they smote me, they wounded me; the keepers of the walls took away my veil from me.
8.    I charge you, O daughters of Jerusalem, if ye find my beloved, that ye tell him, that I [am] sick of love.
9.    What [is] thy beloved more than [another] beloved, O thou fairest among women? what [is] thy beloved more than [another] beloved, that thou dost so charge us?
10.    My beloved [is] white and ruddy, the chiefest among ten thousand.
11.    His head [is as] the most fine gold, his locks [are] bushy, [and] black as a raven.
12.    His eyes [are] as [the eyes] of doves by the rivers of waters, washed with milk, [and] fitly set.
13.    His cheeks [are] as a bed of spices, [as] sweet flowers: his lips [like] lilies, dropping sweet smelling myrrh.
14.    His hands [are as] gold rings set with the beryl: his belly [is as] bright ivory overlaid [with] sapphires.
15.    His legs [are as] pillars of marble, set upon sockets of fine gold: his countenance [is] as Lebanon, excellent as the cedars.
16.    His mouth [is] most sweet: yea, he [is] altogether lovely. This [is] my beloved, and this [is] my friend, O daughters of Jerusalem.

Bene, l’idea di un’anima liquefatta ovvero di un principio fisso, lo zolfo, che si scioglie, mi ha fatto immediatamente ‘drizzare le orecchie’, e la ‘scena’ della fanciulla che ‘ode la voce’ (il suono) dell’amato, che cerca di raggiungerla (perchè ‘ha la testa piena di rugiada‘!) ma scompare, e la loro unione viene successivamente  impedita; il suono della voce  produce comunque all’interno della fanciulla un ‘cambiamento di stato’, quasi per ‘risonanza’, e questo mi ha rimandato alle pagine misteriose e sapide del Filalete su ‘La ricerca del Magistero perfetto‘, alle pene ed alle paure di un’altra fanciulla prigioniera (un mercurio dunque…) di uno zolfo arsenicale che le impedisce di assumere la propria natura.

Non sarà un caso che proprio nei Canti di Salomone, ovvero nel Cantico dei Cantici, ancora una volta si trovano passi che possono contenere o suggerire verità alchemiche? Forse no, e forse neppure lo è il caso che un compositore come Busnois, sufficientemente colto ed ‘eretico‘ al punto giusto da caratterizzare la propria esistenza come originale, stravagante ed accettata dalle personalità dell’epoca solo in virtù della propria abilità musicale, colga un insegnamento parallelo ed occultato sotto le parole della Bibbia per trasmetterlo mediante la propria arte alle generazioni successive. Pensate, Busnois scrisse anche un mottetto dal titolo ‘Anthoni usque limina‘, e forse fino ai ‘limina’ di un’altra conoscenza egli, che si chiamava Antonio come il santo (ma Busnois non era nuovo a simbolismi, acronimi, autoreferenze lasciati qua e là sparsi nei propri manoscritti), si era spinto.

Ma Busnois ‘vanta’ anche di essere accreditato come l’autore del famoso tema de ‘L’Homme Armè’, un tema ‘popolare’ che è stato utilizzato da tutti o quasi i compositori rinascimentali come ‘cantus firmus’ o in parafrasi per comporre delle Messe. Non è detto che ciò corrisponda al vero: hanno infatti musicato ‘L’Homme armè‘ anche Guillaume Dufay, più anziano di lui, e Johannes Ockeghem, e circa nello stesso periodo. Successivamente, tutti gli allievi di Ockeghem citati nella ‘Deploration‘ da Molinet, ovvero Josquin, de la Rue, Compere e Brumel hanno fatto altrettanto, e questo potrebbe essere un’altro fil rouge da percorrere, che si dipana attraverso le varie generazioni fiamminghe nel tempo e si estende anche geograficamente in tutta l’Europa: Palestrina, a Roma, Tinctoris, a Napoli, per restarein Italia (non dobbiamo tralasciare che Brumel stette in Spagna, a Laon, per un periodo, che lo stesso Dufay soggiornò a lungo in Italia, a Milano, eccetera…).

Tema de l'Homme Armee

Un’interessante inquedramento storico del tema ‘L’Homme armé‘, usato come tema di base o come cantus firmus in molte messe, ed anche da Busnois (forse come si è detto ne è stato addirittura l’autore) è qui:

http://markalburgermusichistory.blogspot.com/8408/02/antoine-busnois-c-1430-1492.html

Il tema dell’Homme armè è semplice, rude ed evocativo, così come le parole, di queste figure di guerrieri in armatura che spadroneggiavano con prepotenza nei villaggi. A ben guardare, contiene al suo interno anche un frammento tematico de ‘La tricotea‘, altro tema quattrocentesco interessante per noi Cercatori, ma di cui parleremo un’altra volta… certo, se non è un caso, allora è un segnale, in perfetto stile Busnois.

Tornando al nostro tema, è sorprendente come esso venga elaborato in composizioni raffinate e complesse, tanto da essere appena riconoscibile al loro interno:

Ma perchè l’Homme armè? Beh, dopo il ‘Liquefacta‘, ho ascoltato il bellissimo Credo di Busnois su questo tema, e lasciando libera la fantasia ho pensato a questa immagine

“L’Alchimista protegge l’Atanor contro le influenze esterne” – Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali

ed a queste parole:

Rivestito dall’armatura, le gambe bardate di gambali e lo scudo in braccio, il nostro cavaliere è posto sulla terrazza di una fortezza, a giudicare dai merletti che lo circondano. Con un gesto difensivo, egli minaccia con il giavellotto una forma imprecisa (qualche raggio? un gruppo di fiamme?), che è sfortunatamente impossibile ad identificarsi… Dietro il combattente, un piccolo edificio bizzarro, formato da un basamento a volta, merlettato e poggiante su quattro pilastri, è ricoperto da una volta segmentata a forma semisferica. Sotto la volta inferiore, una massa aculea e infiammata ne precisa la destinazione”.

Grazie all’accostamento che ne fa Archer sul suo blog (ma avrei dovuto pensarci io…) un altro Homme armè è disegnato da De Bry nell’Atalanta Fugiens di Michael Maier nell’emblema XX.

 Fra le molte cose scritte nel relativo Discorso da Maier c’è questa descrizione (mia traduzione, un po’ più letterale di quella di Cerchio):

Questo è  il cavaliere ornato da collana, armato con gladio e scudo contro il dragone, affinchè dalle fauci di quello strappi la vergine inviolata Albifica, Beia oppure Bianca nel cognome

I corsivi sono miei, punti che ritengo debbano essere frutto di ulteriore riflessione, ad esempio quell’ornato di collana (torquatus) come traduce il Calonghi, ma che se fosse il participio di torquere sarebbe di ben differente significato, forse con un intendimento operativo. La vergine inviolata, per un’innamorato di Desprez come me, non può che ricondurmi ad una delle sue più interessanti e commovente composizioni:

Non vi sfuggirà quella copiosa ed abbondante discesa di note all’inizio del brano…

Infine, il cognome di Beia? credo che sia perchè esso segue il nome, e che Beia la Bianca sarà così dopo che l’inviolata vergine nera sia stata purificata… ma qui mi avventuro ben oltre il confortante ambito della musica, e lascio questo avventuroso peregrinare ai Compagni (cui dedico questa fatica) nella speranza che essi rispondano, come all’invito di Merula: ‘Dica, dica chi vuole, dica chi sa’.

Buona cerca!

Chemyst