Altissima Luce…

Carissimi Cercatori,

anche quest’anno è Natale.

Al giorno d’oggi, gli studiosi di liturgia non fanno più difficoltà a ricondurre la celebrazione del Natale alla festa pagana del “Sol Invictus“. Noi conosciamo numerosi esempi di questa politica di conquista cristiana per rimpiazzare ed annettere anziché distruggere o farne anatema. Gesù non è egli medesimo il vero “Sole di Giustizia“, il “Sol Levante “, cantato mediante il Benedictus? La festa del Sol Invictus si aggancia essa stessa al Solstizio d’Inverno, in un periodo in cui il sole sembra iniziare una lenta ascensione“. Queste sono le parole del reverendo padre Roguet, nel suo libro: “L’Office et les Messes de Nöel”, pubblicato per le Editions du Cerf nel 1946 con tanto di imprimatur ecclesiastico. Ce lo racconta Eugene Canseliet in un suo articolo, inedito in Italia, “Réflexions alchimiques sur la Nativité” pubblicato nel 1998 in appendice alla terza edizione di Deux Logis Alchimiques da J.-C. Bailly.

Poco più avanti Canseliet ricongiunge il mito del Sol Invictus con Cristo e il Cammino della Luce, ricordando il Protovangelo di Giacomo ed il Vangelo dello pseudo Matteo, secondo i quali nella grotta del Salvatore “non vi era mai stata luce, ma sempre tenebra“. Finché Maria non dà alla luce il bambino e risplenderà così la Luce Divina, rendendo ‘la notte luminosa come il giorno’ (ibidem).

Forse Canseliet, se avesse avuto maggiore dimestichezza con le tradizioni italiane, in particolare quella della musica napoletana, avrebbe facilmente riconosciuto questo concetto nel testo di Alfonso Maria de’ Liguori, autore del canto dal titolo “Quanno nascette Ninno“, progenitore del decaduto “Tu scendi dalle stelle“, in cui restano le vestigia della sola grotta, e figlio del certamente più nobile ‘He shall feed His flock‘ che Haendel ha inserito nel suo Messiah. Il canto di Sant’Alfonso inizia infatti così: “Quanno nascette Ninno a Betlemme era notte, parea miezojuorno”. E prosegue, a sancire l’ulteriore corrispondenza con l’allegoria ermetica: “Maje le stelle lustre e belle se vedettero accussì“ quasi a testimoniare un aumento improvviso della Luce, e poi “E a cchiù lucente jette a chiamà li Magge a l’Urïente”.

Non stupisca quindi la ricchezza di brani sacri (mottetti soprattutto, ma anche poi laudi) con cui la celebrazione della Natività, che la Chiesa usa per ricomprendere tutte le tradizioni sapienziali del Cammino della Luce, viene declinata mediante termini indicanti il Messia quali “Lux lucis, “Siderum lucis“, “Altissima Luce“ (Laudarium Cortonensis), “Lucis creator” (Praetorius, Asola), et caetera, né viene dimenticato il cammino dei Saggi (o dei Magi) nel seguitare la Stella, la quale rappresenta il “segno dell’onnipotente“ secondo Eireneo Filalete  (Introitus) che guida l’Alchimista verso la sua meta.

Aggiungerei che a volte anche la Vergine Maria è paragonata ad una stella: è così nel mottetto iniziale in discanto di scuola inglese di John Cooke, ‘Stella celi‘. D’altra parte, dal punto di vista ermetico, conferma l’unicità della Materia, con la coincidenza della madre-mater-materia e della stella che vi compare al momento opportuno. Una Res…

Ma è una Luce piena di Fuoco: ancora Canseliet ci rammenta che Cristo è venuto “a mettere il fuoco nella terra“ (che è oscura e tenebrosa, e solo così può essere fecondata dalla Luce, come la grotta).

Sempre Canseliet, infine, ci viene in soccorso associando il canto degli Angeli, udito dai pastori a grande distanza, con quello (accompagnato da strumenti!) delle Muse che circondano Apollo, luminoso dio del Sole di cui Cristo ancora una volta mutua la simbologia, o meglio se ne appropria, che compaiono nel frontespizio del Musaeum Hermeticum, nell’edizione del 1677 a Francoforte presso Hermann Sande.

E l’Arte di Musica, si sa, è l’Alchimia.

Buon Natale, buon Solstizio, buon Cammino della Luce, buon Santa Lucia…

Chemyst

Alchimia e Verità

Cari Cercatori,

potrà sembrare bizzarro parlare di Verità in Alchimia, un ambito in cui è d’uopo velare i segreti sotto allegorie e ‘cabale fonetiche‘, sotto allusioni e simboli quando non sotto affermazioni o negazioni di significato equivalentemente ambivalente.

Tuttavia, fra i tanti grandi Adepti, ad uno in particolare era a cuore la Verità: se l’è cucita sullo pseudonimo e l’ha riportata nel titolo di una delle sue  opere più significative. Parliamo di Ireneo Filalete, naturalmente, ed il lavoro cui mi riferisco è ovviamente lo Speculum Veritatis. Tuttavia non è di quest’opera che voglio parlare, ma del suo scritto principale, ossia il ‘Secrets Revealed‘, meglio noto come ‘L’entrata aperta al palazzo chiuso del Re‘.

Paolo Lucarelli ne fece una pregevole traduzione dal Latino tratta dal manoscritto di Modena. La lessi anni fa, e fu uno dei libri più rivelatori che abbia mai letto, seppure, nel corso degli anni, abbia avuto modo di comprendere quanto poco avessi capito di quel libro allora… Oggi, a distanza di molti anni e dopo sette anni di profondissimi studi e ricerche esce, in autopubblicazione da Lulu, ‘Philalethe’s Reveal’d‘, uno scritto monumentale ad opera di Captain Nemo e Fra’ Cercone, di ben 1500 pagine, i quali confrontano tre versioni principali, ovvero il citato Manoscritto di Modena, il Secret’s Reveal’d di Londra del 1668 ed il testo francese del 1672.

Il commento, paragrafo per paragrafo, è in forma di note puntigliose a fronte del testo, ed il tutto è arricchito di tavole ad alta risoluzione, in b/n o a colori a seconda dell’edizione, poste in relazione al testo esaminato. E questo è solo il primo volume. Il secondo (dell’edizione a colori) oppure il secondo ed il terzo (dell’edizione in bianco e nero) contengono una documentatissima  contestualizzazione storica, con biografie di alchimisti e/o scienziati contemporanei e la documentata ipotesi che indica in Sir John Winthrop jr.  l’identità dell’Adeptist Filalete.

Accanto a lui, le vite di George Starkey, Child, Maier, scorrono sotto i nostri occhi affiancate dai lori ritratti d’epoca, da brani della loro corrispondenza, da fonti documentali rare e preziose. Anche il sogno dei Rosacroce viene raccontato, ed è esso stesso un romanzo appassionante.

Da tanta accuratezza non può che nascere una Verità, o almeno qualcosa che vi si approssima con scarto infinitesimale.  In questo, la conclusione sull’identità dell’Adepto dei due Autori appare incontrovertibile, laddove alternative tesi di blasonati ricercatori  americani risultano carenti (quando non omissive) in senso documentale nel sostenere l’ipotesi di identificare con Filalete il pur brillante George Starkey.

La pubblicazione di questa ponderosa ricerca è in lingua inglese: per quanto esso sia un inglese ‘scientifico‘, ovvero lineare e con un fraseggio improntato più alla logica che all’eleganza, può essere di ostacolo  a chi (ancora oggi) non conosce la lingua della bianca Albione. Tuttavia, questa scelta può far sì che questa faticosa ricerca possa essere apprezzata anche oltreoceano o comunque al di fuori dei confini italiani. Di più, essa, praticamente contenendo in gran parte la traduzione in inglese di molte note di Paolo Lucarelli alla sua traduzione dal Latino dell’Introitus, rende fruibile l’opera dell’indimenticato Adepto italiano anche a quell’ampia parte di mondo che non parla la lingua di Dante Alighieri. Forse a lui, ormai dedito al profumo di splendide rose accanto ai grandi Adepti del passato, non importerà molto, né altererà il suo sorriso immutabilmente ironico, ma a noi testimonia l’amore e la riconoscenza di questi Cercatori (con la lettera maiuscola) verso di lui, non così conosciuto negli ambienti anglofoni al pari di quanto lo fosse, non foss’altro che per appartenenza di scuola, in quelli di Francia. E se davvero pensiamo – come in effetti pensiamo – che quanto coraggiosamente ci ha svelato e rivelato l’Adepto torinese sia, parafasando il Trismegisto, ‘vero, verissimo e certo‘, ecco che Captain Nemo e Fra’ Cercone hanno effettuato un’azione di diffusione della Verità nel confuso scenario che oggi viene compreso nel termine ‘Alchimia‘.

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A proposito di Verità: ricordo bene quando, nelle lunghe chiacchierate telematiche con Captain Nemo, mi disse che era necessario incontrarsi per ‘guardarsi negli occhi‘. Ora capisco meglio di allora quanto importante sia questo semplice gesto per riconoscere immediatamente un Fratello di Cerca, capisco anche perché Canseliet lo chiami  Amante della Verità (L’Alchimia spiegata sui suoi testi classici, Mediterranee, 1985, p. 11). Più avanti (ibidem, p. 130), egli afferma che ‘La Verità, similmente, è un polo attrattivo che, in un bagno di costante interesse, intrattiene e guida gli sforzi del filosofo, che da quel momento non ne è mai più stanco‘.  Come dire che, in mancanza della Verità, non vi è vero filosofo. E ancora (ibidem, p. 136, il Filosofo di Savignies ci rassicura che ‘… aggredita, la Verità si trovi ad essere persino rinforzata…‘.

Perdonate la digressione, ma, mi si creda o meno, essa non è off topic.

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A proposito di Verità: nelle Recreations Hermetiques proprio Captain Nemo mi consultò su due immagini, di cui parlammo qui: nel testo, cui rimandiamo per completezza di studio, la ‘Veritez‘ è contrapposta alla ‘Ingenuitez‘. La differenza fra l’una e l’altra  sta in un particolare del disegno musicale, un’apparente svista che modifica però nella sostanza la sua realizzazione sonora: mancando la giusta posizione, la soluzione è falsa, non vera. Eppure Ingenuo, una volta, significava ‘sincero‘…

Decisamente Ingenuo, mi trovo così a salutarvi, dopo questo post un po’ schizoide, un po’ recensione, un po’ racconto, un po’ riflessione, in ogni caso non unitario anzi, piuttosto sconclusionato. Ma vi saluto sempre con affetto e sincerità.

Chemyst

 

 

Gratianus – La Grande Opera Alchemica & Marwan – Il Risveglio di Ermete: un incontro a Bergamo

Carissimi amici e carissimi Compagni di Cerca,

abbiamo un’altra occasione di parlare d’Alchimia con chi la conosce bene per le lunghe ore trascorse, negli anni di una vita, accanto al Fuoco. Un’occasione nata da uno scambio di opinioni e subito messa in pratica, ed un’occasione ghiotta: la presentazione di due libri affatto diversi, ma scritti con il comune intento di testimoniare il proprio cammino lungo i sentieri dell’Arte e rivolgere uno sguardo caritatevole ai compagni che muovono i primi passi o che comunque sono000libri più indietro sul Cammino.

L’incontro si svolgerà la prossima settimana a Bergamo, precisamente il 29 novembre alle ore 16:30, presso la Libreria IBS situata in via XX Settembre 93.

L’approccio utilizzato nei due libri (editi da Mimesis) è differente: Marwan, archeologa, ha ‘preso a pretesto’ la vita e le opere dell’illustre chimico francese Marcelin Berthelot il quale, ad un certo punto sente l’esigenza di indagare l’Alchimia, da lui considerata come una protochimica. Berthelot lo fa con il rigore scientifico con cui conduce i suoi esperimenti, andando alla fonte e traducendo o facendo tradurre testi antichissimi di Alchimia provenienti da ogni parte del globo.

Commette qua e là qualche errore, ma compie comunque un gran lavoro e riaccende in ogni caso l’interesse per la Scienza Sacra, ed alla fine comprende che l’Alchimia non è soltanto una tecnologia dei tempi passati ma è anche una disciplina dello Spirito. Marwan ci conduce per mano lungo questo percorso di ricerca di Berthelot, con una fittissima documentazione e precise referenze bibliografiche, e coglie ogni occasione per lasciare, qua e la, piccole perle di saggezza che il Cercatore attento saprà individuare ed apprezzare.

Diverso è il modo, diretto e schietto, di Gratianus per il suo libro: già il titolo ci porta ‘in medias res‘ senza tanti preamboli, ed illustra, con una franchezza sin qui inedita (ma già apprezzabile  nel corso dei precedenti incontri pubblici) le caratteristiche della Via Breve, nei libri dei classici (compresi i cosiddetti ‘moderni’ della scuola di Fulcanelli) soltanto accennata. Lo fa citando, ad uso dei Cercatori, testi di Filalete, Basilio Valentino, Canseliet, ed altri, e prendendo spunto dagli affreschi del Parmigianino commissionatigli dal SanvitalParmigianino,_affreschi_di_fontanellato_03e a Fontanellato.

Con questo libro egli chiarifica (qualora ce ne fosse stato bisogno) quanto già rivelato ne ‘L’Apprendista‘ sull’esistenza di una biforcazione lungo la Via, una delle quali prosegue verso la Pietra Filosofale, l’altra invece verso le ‘infinite possibilità’ care a Lucarelli dopo l’ottenimento del Mercurio Comune.

Su questo punto comunque i due Autori, entrambi discepoli e fedeli seguaci di Paolo Lucarelli, di cui quest’anno ricorre il decimo anniversario della scomparsa da questa Manifestazione, convergono: ecco come ne parla Marwan:

“Altro fraintendimento perpetuatosi nel tempo è la confusione tra il Mercurio Comune, che è appunto l’acqua divina, e il Mercurio dei Filosofi, che questa stessa acqua fissata in una prima forma di specificazione: uno è opera della Natura e l’altro prodotto dell’uomo, sono legati a momenti completamente diversi dell’Opera e soprattutto a intenti totalmente differenti dell’operatore”

L’ottenimento del Mercurio Comune è descritto, nel relativo capitolo, da Gratianus con il titolo ‘L’Ardua salita sulla cima del monte’, mentre la sua specificazione come Mercurio Filosofico è definita ‘La dissennata discesa dalla cima del monte’. Più chiaro di così…

Il libro di Marwan è disponibile da tempo, quello di Gratianus (che lo ha già presentato in molte località italiane) ad oggi non è ancora arrivato nelle librerie: io l’ho letto per la cortesia fattami dall’Autore di inviarmi una copia. In questo, la politica editoriale di Mimesis non brilla né per efficienza né per coerenza: il libro è infatti stampato da settembre e non ancora distribuito. Tuttavia confidiamo che sarà reso disponibile nei prossimi giorni.

Insomma, ci si incontrerà tutti a Bergamo per – fondamentalmente – parlare di Alchimia Operativa con due operatori-scrittori d’eccezione, cui va il mio ringraziamento ed il mio affetto per la benevola disponibilità.

A presto,

Chemyst

 

 

 

 

L’Arte di Coltivare il Cielo

Carissimi,

a breve, a Chieti, Gratianus presenta il suo libro ‘L’Apprendista – L’arte di coltivare il cielo‘. Gratianus  è l’allievo che ha ricevuto dal Maestro Paolo Lucarelli il compito di portare avanti i suoi insegnamenti.

Il libro, in forma di romanzo, dà sincere indicazioni operative e segnali di orientamento per chi vuole avventurarsi sulla via alchemica operativa: la vicenda, esposta con scorrevole abilità narrativa, è quella di un giovane che si risveglia improvvisamente al buio, privo di vestiti ed indumenti, in una terrorizzante notte di tempesta, ferito in quella che sembra la conseguenza di una rovinosa caduta in un dirupo. La storia viene collocata simbolicamente nello Schwarzwald, una ‘Selva Oscura‘ dalla quale pian piano il Cercatore potrà, – si te fata vocant – un giorno emergere alla Luce.

L’Apprendista incontrerà poi persone amorevoli che lo guideranno caritatevolmente verso lo studio della Natura e poi dell’Arte Alchemica, ovvero proprio quell’Arte di Coltivare il Cielo che è il sottotitolo del libro.

Principianti od esperti, tutti troveranno spunti utili ed esposti con disarmante chiarezza in questo libro: compresa una raccolta di tavole illustrate tratte da un manoscritto di area germanica, che distingue due vie, quella del Mercurio Filosofico, ottenibile mediante le Aquile e dal quale si avrà poi la Pietra Trasmutatoria o l’Elixir, e l’altra, definita semplicemente del Mercurio, le cui tavole sono lasciate senza commento, una via che invece condurrà… dove?

Sicuramente ‘altrove’.

Nessuno parla apertamente di questo nei trattati classici ed anche nelle opere degli Adepti più moderni. Pochi vi fanno cenno, ad esempio Filalete nello ‘Speculum Veritatis‘:

Vale la pena, dunque, parlare con chi ha affrontato questi bivi lungo la Via ed approfittare di quella che – temo – è un’occasione rara, e che sempre di più lo sarà: riflettevo infatti sulla bibliografia di Gratianus, che parte dagli ‘Incontri con il Maestro’ ed arriva a ‘L’Apprendista’: un percorso a ritroso, ma comunque un ciclo che sembra chiudersi.

I tempi attuali, d’altronde, sono quelli che sono: forse non catastrofici come li intravide Fulcanelli, ma molto, molto aridi per lo spirito.

Il romanzo termina con un fuga, non si conosce il destino dei protagonisti, non c’è un lieto fine né uno tragico: la Cerca continua, per chi avrà la pazienza e la perseveranza di seguire le tracce sempre più evanescenti della Dama.

L’appuntamento è a Chieti, presso la Sala ‘Belvedere’ del Grande Albergo Abruzzo, via A. Herio 20, alle 18. L’ingresso è libero.

Ci vediamo là…

Chemyst

Non ci sono più le mezze stagioni…

Cari amici,

è vero: sono d’accordo con voi, è un luogo comune. Tuttavia, nulla mi è parso più vero durante questi giorni canicolari di esilio marino, durante i quali, a parziale consolazione, ho riletto passi dei ‘Due Luoghi Alchemici’ di Mastro Canseliet, il quale, già nel 1945 si lamentava della medesima cosa, riportandola nel suo prezioso volume.

Parte da qui dunque una mia breve riflessione su questo dato di fatto, il quale, lungi dall’essere così pronunciato nel 1945 era tuttavia avvertito nettamente dal Maestro di Savignies, il quale traeva dalla sua constatazione lugubri premonizioni di fine del mondo. Molto seriamente, non come siamo fin troppo abituati noi Italiani a lamentarci di ogni cosa e soprattutto del tempo, proprio noi che sinora abbiamo abitato una contrada del mondo fortunata sia per il clima sia per l’abbondanza dell’elargizione dello Spirito Universale nelle nostre notti serene, Canseliet avverte nella variazione climatica un dato certo dell’approssimarsi del ‘bouleversement’ e del ‘secondo battesimo’ dell’umanità, ricevuto da Dio con il Fuoco, dal quale scaturirà un’umanità migliore a partire da una piccola schiera di Eletti.

Certo, sarà il caldo estremo, sarà l’appropinquarsi progressivo della ‘scadenza’ del 21 dicembre 2012 preconizzata dal sistema calendariale Maya, nonostante il povero Giacobbo già metta le mani avanti nel caso… non succeda nulla  😉 , tuttavia, essendo abituati a non trascurare alcuna delle parole del buon Canseliet, ed a maggior ragione di quelle del suo ‘testamento spirituale’, come lo definì Paolo Lucarelli nella sua Prefazione, un dolcissimo passo di serena poesia e di generosa trasparenza, tuttavia, dicevo, se un Alchimista ne parla (e che Alchimista!) la sua importanza ce l’avrà.

Sarà anche per la vicinanza geografica del Castello del Plessis-Bourree con Chinon, luogo di detenzione dei Templari, con i loro graffiti anch’essi premonitori di venturi cataclismi (già nel 1200!), anche nel mezzo della sua trattazione Canseliet ripropone questo triste (triste? Chissà, triste per noi poveri prigionieri del secolo…) argomento: ci lascia una tenue speranza, forse anche solo uno sprone, nelle ultime pagine, quando traduce, per una volta senza invidie, una profezia di Filalete. Gli Adepti (anzi, dice ‘noi Adepti’) torneranno a salvare i ‘tyrones’ ed i ‘patres’ dai ‘quattro angoli della Terra’.

Siate pronti, ci dice dunque il Filosofo inglese: non a caso lo diceva anche Gesù Cristo, nella sua parabola delle lampade e dell’olio, che le ancelle sagge hanno tenuto accese per il ritorno del signore, che può arrivare a qualunque ora della notte e deve essere accolto… dalla Luce.  A noi il compito, arduo ma misero se si pensa alla ricompensa, di tenere accesa la Fiammella.

Ecco, dunque, una possibile risposta alla domanda: ‘Perché facciamo Alchimia?’ Certo, il numero degli Eletti, grande  e piccolo ad un tempo, Canseliet lo indica: 666, numero ancora una volta legato all’Apocalisse.

 *     *     *

Aggiungerò, a conclusione di questa melanconica riflessione, alcune considerazioni di natura affatto differente. La prima, è che Canseliet ha avuto la fortuna di rivedere il suo Maestro,  nel suo stato di Grazia, a 120 anni, in un luogo fuori dal tempo e dal mondo: non sarà stato un incontro infruttuoso…  Della persistenza degli Adepti su questo mondo ‘non più prigione’ parla anche Gratianus, nel suo ultimo libro ‘Verso l’Arca d’Argento’: egli forse (me lo auguro di cuore) può finalmente vederli, e dunque ci conferma che sono là, pronti ad accorrere, come dice Filalete.

Un’ultima immagine, mestissima, lacerante: se dovesse accadere, quand’anche fossi uno dei 666 Eletti, cosa assai improbabile (ma cosa è ‘probabile’, in Alchimia?), e dovesse accadere davvero fra un anno, come potrei abbandonare al suo destino l’affetto più profondo e caro che oggi possiedo?

Ah, quanti Dragoni ha sul suo cammino Alchimia!

 Chemyst

Antoine Busnoys, un ‘Homme Armé’ ed un amore impossibile… o forse no

Carissimi Compagni di viaggio,

mi sono imbattuto, nelle mie scorribande su YouTube, in alcuni brani di Antoine Busnoys (o Busnois), figura gigantesca della scuola Borgognona, dalla controversa biografia, di vastissima cultura e che condivide fama di caposcuola assieme ad Ockeghem il quale,  forse anche grazie alla sua lunga vita, ha conservato, ad oggi, più grande (e meritata) fama. Eccovi qualche dettaglio da Wikipedia:

Antoine Busnois (anche Busnoys) (Busnes, vicino Béthune, 14306 novembre 1492) è stato un compositore e poeta francese, appartenente alla Scuola di Borgogna del primo rinascimento. Famoso come compositore di musica sacra, come mottetti, egli fu anche uno dei più rinomati compositori di chanson profane del XV secolo. Egli fu anche la figura preminente della tarda Scuola di Borgogna dopo la morte di Guillaume Dufay.

Blasone di Busnes

I dettagli della sua vita sono puramente da interpretare, ma si presume che nacque a nei pressi di Calais, forse nel villaggio di Busnes (che poi tanto ‘villaggio’ non doveva essere, visto che ha un proprio blasone), a cui il suo cognome sembra riferirsi. Egli può essere nato in una delle famiglie aristocratiche di Busnes; in particolare, Filippo di Busnes, un canonico della Cattedrale di Notre Dame di Lens potrebbe essere stato un suo parente.

Busnois ricevette una eccellente educazione musicale, probabilmente nella scuola del coro di una qualche cattedrale nel nord (perchè non proprio Bethune?) o nel centro della Francia. L’origine aristocratica può spiegare la sua presenza in giovane età presso la Corte francese: sin dal 1450 sembra che vi si trovasse e nel 1461 era già cappellano a Tours. Che non fosse uno stinco di santo è dimostrato da una richiesta di assoluzione, presentata il 28 febbraio 1461, in cui ammette di aver fatto parte di un gruppo di cinque persone che “avevano pestato a sangue” un prete, non una ma ben cinque volte. Mentre era in stato di interdizione dalla messa, ebbe l’ardire di celebrare messa e per questo venne scomunicato; in ogni caso fu poi perdonato da Papa Pio II.

Si spostò quindi nella Chiesa collegiata di san Martino, sempre a Tours, dove divenne suddiacono nel 1465. Johannes Ockeghem era tesoriere in quella chiesa ed i due ebbero modo di conoscersi bene. Alla fine del 1465 Busnois si spostò a Poitiers, dove non soltanto divenne maestro del coro dei ragazzi, ma si adoperò per attrarre dei bravi cantori da tutta la regione; da questo tempo la sua fama di maestro di canto, studioso e compositore si diffuse in tutta la Francia. In ogni caso partì così improvvisamente, come era arrivato, alla fine del 1466; non si conobbe il motivo della sua partenza ma il suo incar

Carlo il Temerario (Carlo l'Audace)

ico venne dato nuovamente al suo predecessore. Lasciata Poitiers, Busnois si trasferì in Borgogna. Dal 1467 Busnois fu alla corte di Borgogna, ed egli iniziò a comporre per Carlo l’Audaceprima che questi assumesse il titolo di Duca il 15 giugno; ciò si desume da uno dei sui mottetti in hydraulis che contiene una dedica dalla quale risulta che era già Conte. Carlo nel divenire Duca di Borgogna, acquisì prest il soprannome di Carlo l’Audace per la sua fierezza e per le sue ambizioni militeri (che lo porteranno alla morte dieci anni più tardi). Assieme alla sua passione per la guerra, Carlo amava la musica e Busnois fu apprezzato e riverito nella Corte di Borgogna.

In una lista del 1467, Busnois assieme a Hayne van Ghizeghem e Adrien Basin, era citato come “cantore e valletto di camera” di Carlo. Assieme alle sue doti di Cantore e compositore dimostrò doti di guerriero (è stato egli stesso, quindi, un Homme armee) accompagnando il Duca nelle sue Campagne militari, così come faceva Hayne van Ghizeghem. Busnois fu all’assedio di Neuss in Germania nel 1475 e sopravvisse, o non vi partecipò, alla disastrosa Battaglia di Nancy del 1477, nella quale Carlo venne ucciso e cominciò a scemare l’espansione della Borgogna. Busnois rimase alla Corte di Borgogna fino al 1482, ma non si conosce dove sia stato e cosa abbia fatto fino al 1492 quando morì. Al tempo della sua morte si trovava alla chiesa di san Saverio a Bruges. In questo periodo egli era conosciuto in tutta Europa ed i suoi manoscritti circolavano largamente nelle cattedrali.

La sua musica è sorprendentemente ‘moderna’ per il periodo, e sicuramente influenzerà la sua evoluzione, considerando che si trasmetterà lungo un ipotetico ‘asse’ che partendo da lui e da Johannes Ockeghem passa agli  allievi di quest’ultimo, fra cui spicca Josquin Desprez, affiancato da Pierre de la Rue, Loyset Compere, Antoine Brumel, solo per ricordare gli allievi indicati nella magistrale ‘Deploration‘ scritta per la morte di Ockeghem dallo stesso Josquin su testo di Jean Molinet.

Fra le tante cose belle, una prima composizione che mi ha colpito, innanzitutto per la scelta del testo, è ‘Anima mea liquefacta est‘, il cui testo è il seguente:

Anima mea liquefacta est, ut dilectus locutus est.  

Quaesivi et non inveni illum; vocavi et non respondit mihi.  

Invenerunt me custodes civitatis,

percusserunt me et vulneraverunt me.

Tulerunt pallium meum custodes murorum.  

Filiae Hierusalem, nuntiate dilecto quia amore langueo.

Anche altri Autori, come Giovanni Croce, si sono cimentati nel musicare questo testo. Eccone la versione inglese, come riportata nella Bibbia di Re Giacomo (testo linkato da Sabine Cassola proprio dalla sua trascrizione della versione di croce di questo mottetto su CPDL.org).

Song of Solomon, 5

1.    I am come into my garden, my sister, [my] spouse: I have gathered my myrrh with my spice; I have eaten my honeycomb with my honey; I have drunk my wine with my milk: eat, O friends; drink, yea, drink abundantly, O beloved.
2.    I sleep, but my heart waketh: [it is] the voice of my beloved that knocketh, [saying], Open to me, my sister, my love, my dove, my undefiled: for my head is filled with dew, [and] my locks with the drops of the night.
3.    I have put off my coat; how shall I put it on? I have washed my feet; how shall I defile them?
4.    My beloved put in his hand by the hole [of the door], and my bowels were moved for him.
5.    I rose up to open to my beloved; and my hands dropped [with] myrrh, and my fingers [with] sweet smelling myrrh, upon the handles of the lock.
6.    I opened to my beloved; but my beloved had withdrawn himself, [and] was gone: my soul failed when he spake: I sought him, but I could not find him; I called him, but he gave me no answer.
7.    The watchmen that went about the city found me, they smote me, they wounded me; the keepers of the walls took away my veil from me.
8.    I charge you, O daughters of Jerusalem, if ye find my beloved, that ye tell him, that I [am] sick of love.
9.    What [is] thy beloved more than [another] beloved, O thou fairest among women? what [is] thy beloved more than [another] beloved, that thou dost so charge us?
10.    My beloved [is] white and ruddy, the chiefest among ten thousand.
11.    His head [is as] the most fine gold, his locks [are] bushy, [and] black as a raven.
12.    His eyes [are] as [the eyes] of doves by the rivers of waters, washed with milk, [and] fitly set.
13.    His cheeks [are] as a bed of spices, [as] sweet flowers: his lips [like] lilies, dropping sweet smelling myrrh.
14.    His hands [are as] gold rings set with the beryl: his belly [is as] bright ivory overlaid [with] sapphires.
15.    His legs [are as] pillars of marble, set upon sockets of fine gold: his countenance [is] as Lebanon, excellent as the cedars.
16.    His mouth [is] most sweet: yea, he [is] altogether lovely. This [is] my beloved, and this [is] my friend, O daughters of Jerusalem.

Bene, l’idea di un’anima liquefatta ovvero di un principio fisso, lo zolfo, che si scioglie, mi ha fatto immediatamente ‘drizzare le orecchie’, e la ‘scena’ della fanciulla che ‘ode la voce’ (il suono) dell’amato, che cerca di raggiungerla (perchè ‘ha la testa piena di rugiada‘!) ma scompare, e la loro unione viene successivamente  impedita; il suono della voce  produce comunque all’interno della fanciulla un ‘cambiamento di stato’, quasi per ‘risonanza’, e questo mi ha rimandato alle pagine misteriose e sapide del Filalete su ‘La ricerca del Magistero perfetto‘, alle pene ed alle paure di un’altra fanciulla prigioniera (un mercurio dunque…) di uno zolfo arsenicale che le impedisce di assumere la propria natura.

Non sarà un caso che proprio nei Canti di Salomone, ovvero nel Cantico dei Cantici, ancora una volta si trovano passi che possono contenere o suggerire verità alchemiche? Forse no, e forse neppure lo è il caso che un compositore come Busnois, sufficientemente colto ed ‘eretico‘ al punto giusto da caratterizzare la propria esistenza come originale, stravagante ed accettata dalle personalità dell’epoca solo in virtù della propria abilità musicale, colga un insegnamento parallelo ed occultato sotto le parole della Bibbia per trasmetterlo mediante la propria arte alle generazioni successive. Pensate, Busnois scrisse anche un mottetto dal titolo ‘Anthoni usque limina‘, e forse fino ai ‘limina’ di un’altra conoscenza egli, che si chiamava Antonio come il santo (ma Busnois non era nuovo a simbolismi, acronimi, autoreferenze lasciati qua e là sparsi nei propri manoscritti), si era spinto.

Ma Busnois ‘vanta’ anche di essere accreditato come l’autore del famoso tema de ‘L’Homme Armè’, un tema ‘popolare’ che è stato utilizzato da tutti o quasi i compositori rinascimentali come ‘cantus firmus’ o in parafrasi per comporre delle Messe. Non è detto che ciò corrisponda al vero: hanno infatti musicato ‘L’Homme armè‘ anche Guillaume Dufay, più anziano di lui, e Johannes Ockeghem, e circa nello stesso periodo. Successivamente, tutti gli allievi di Ockeghem citati nella ‘Deploration‘ da Molinet, ovvero Josquin, de la Rue, Compere e Brumel hanno fatto altrettanto, e questo potrebbe essere un’altro fil rouge da percorrere, che si dipana attraverso le varie generazioni fiamminghe nel tempo e si estende anche geograficamente in tutta l’Europa: Palestrina, a Roma, Tinctoris, a Napoli, per restarein Italia (non dobbiamo tralasciare che Brumel stette in Spagna, a Laon, per un periodo, che lo stesso Dufay soggiornò a lungo in Italia, a Milano, eccetera…).

Tema de l'Homme Armee

Un’interessante inquedramento storico del tema ‘L’Homme armé‘, usato come tema di base o come cantus firmus in molte messe, ed anche da Busnois (forse come si è detto ne è stato addirittura l’autore) è qui:

http://markalburgermusichistory.blogspot.com/8408/02/antoine-busnois-c-1430-1492.html

Il tema dell’Homme armè è semplice, rude ed evocativo, così come le parole, di queste figure di guerrieri in armatura che spadroneggiavano con prepotenza nei villaggi. A ben guardare, contiene al suo interno anche un frammento tematico de ‘La tricotea‘, altro tema quattrocentesco interessante per noi Cercatori, ma di cui parleremo un’altra volta… certo, se non è un caso, allora è un segnale, in perfetto stile Busnois.

Tornando al nostro tema, è sorprendente come esso venga elaborato in composizioni raffinate e complesse, tanto da essere appena riconoscibile al loro interno:

Ma perchè l’Homme armè? Beh, dopo il ‘Liquefacta‘, ho ascoltato il bellissimo Credo di Busnois su questo tema, e lasciando libera la fantasia ho pensato a questa immagine

“L’Alchimista protegge l’Atanor contro le influenze esterne” – Fulcanelli, Il Mistero delle Cattedrali

ed a queste parole:

Rivestito dall’armatura, le gambe bardate di gambali e lo scudo in braccio, il nostro cavaliere è posto sulla terrazza di una fortezza, a giudicare dai merletti che lo circondano. Con un gesto difensivo, egli minaccia con il giavellotto una forma imprecisa (qualche raggio? un gruppo di fiamme?), che è sfortunatamente impossibile ad identificarsi… Dietro il combattente, un piccolo edificio bizzarro, formato da un basamento a volta, merlettato e poggiante su quattro pilastri, è ricoperto da una volta segmentata a forma semisferica. Sotto la volta inferiore, una massa aculea e infiammata ne precisa la destinazione”.

Grazie all’accostamento che ne fa Archer sul suo blog (ma avrei dovuto pensarci io…) un altro Homme armè è disegnato da De Bry nell’Atalanta Fugiens di Michael Maier nell’emblema XX.

 Fra le molte cose scritte nel relativo Discorso da Maier c’è questa descrizione (mia traduzione, un po’ più letterale di quella di Cerchio):

Questo è  il cavaliere ornato da collana, armato con gladio e scudo contro il dragone, affinchè dalle fauci di quello strappi la vergine inviolata Albifica, Beia oppure Bianca nel cognome

I corsivi sono miei, punti che ritengo debbano essere frutto di ulteriore riflessione, ad esempio quell’ornato di collana (torquatus) come traduce il Calonghi, ma che se fosse il participio di torquere sarebbe di ben differente significato, forse con un intendimento operativo. La vergine inviolata, per un’innamorato di Desprez come me, non può che ricondurmi ad una delle sue più interessanti e commovente composizioni:

Non vi sfuggirà quella copiosa ed abbondante discesa di note all’inizio del brano…

Infine, il cognome di Beia? credo che sia perchè esso segue il nome, e che Beia la Bianca sarà così dopo che l’inviolata vergine nera sia stata purificata… ma qui mi avventuro ben oltre il confortante ambito della musica, e lascio questo avventuroso peregrinare ai Compagni (cui dedico questa fatica) nella speranza che essi rispondano, come all’invito di Merula: ‘Dica, dica chi vuole, dica chi sa’.

Buona cerca!

Chemyst

 

 

Impressioni di settembre…

Cari Amici,

questa sera, uscendo dal mio studio per tornare a casa, con la testa piena di pensieri sulle controversie della vita lavorativa, d’istinto decido di portare con me un libro che ho appena comprato, La via dell’Alchimia Cristiana di Severine Batfroi, ed un altro che mi hanno regalato tempo fa, L’Arte Magica di Andrè Breton.

Appena uscito, volgo lo sguardo al Cielo e m’immergo nell’abbraccio conforrtante di una Luna quasi piena, che irradia la sua Luce benefica in una sera dolce e tersa… Ci credete? mi sono sentito rassicurato e felice, noncurante del futuro (quale futuro??? Ma il tempo… esiste?).

A volte penso che la vita sia davvero strana. Due anni fa, accolsi il pressante invito di un Amico a studiare più a fondo l’Alchimia, con metodo, dedicandovi tempo, calma e profonda riflessione. Aderii, non potendo pensare di fare altrimenti… ebbene, ricordo quelle ore passate in poltrona a studiare Fulcanelli, poi Altus, poi Canseliet, Filalete, come un periodo felice, gioioso, denso di scoperte e (rileggendo quegli appunti) di clamorose cantonate…

Poi, come una Nemesi, la vita comune ti osteggia e ti frena, accadono cose spiacevoli, altre indubbiamente piacevoli, tutte però dirette altrove dalla Cerca che tanto amiamo. Lucarelli l’aveva detto, l’aveva confidato all’amico Elemire Zolla, che mettendosi sui sentieri di Dama Alchimia sarebbe successo: “ si suda, si secerne… riceve informazioni che lo atterriscono…. uno stato di terrore controllato…”: sono queste avversità, queste distrazioni molteplici facce del Guardiano della Soglia, una prova da superare?

Molte cose sono accadute da allora. Ma stasera, la Luna mi ha ridato coraggio. Il cammino nel Bosco, mai interrotto, riprende forza e vigore.

Chemyst

La solitudine del Cercatore

E’ scritto e prescritto, e qualora non lo fosse la stessa complicata maniera di scrivere degli Adepti ne è dimostrazione, che chi si addentra nello studio dell’Ars Regalis (e ne acquista qualche conoscenza vera) debba serbarla sepolta dentro di sè.

Condivideva questa linea il fisico francese Bergier, che incontrò Fulcanelli (beato lui…) all’indomani delle prime esperienze in campo atomico e venne da questi messo in guardia contro i pericoli di tale percorso. Bergier non ne fu, come farebbero molti cattedratici parrucconi, indignato nè tantomeno infastidito, al contrario lo ascoltò con attenzione e ne ricevette una profonda impressione, tanto che pare ebbe a commentare: “Anch’io sarei riservato se sapessi costruire una bomba all’idrogeno sul fornello di casa”.

E’ infatti del tutto evidente che l’Alchimia, una volta che ne sia compresa la sua essenza, conduce ad una tale conoscenza dei meccanismi di natura da permettere (in singolari ed appropriate condizioni) di modificare la struttura stessa della materia, o di abbreviarne di qualche centinaio d’anni il processo evolutivo… e questa è un’altra cosa su cui riflettere.

E’ umano, infatti, e causa di molte illusioni e fallimenti, andare subito con la mente alla possibilità di immense ricchezze a partire da metalli di poco valore, oppure farsi abbagliare dal fascino del potere di un Guaritore capace d’ogni terapia, grazie all’Elixir… ed al tempo stesso pensare di valicare secoli ed ere , diventando immortali… Questo è il fascino dell’Alchimia se guardato con occhi umani, umanissimi, quegli occhi che guardano costantemente l’orizzonte trascurando il Cielo.

Ecco, forse è questo che deve scattare nel cercatore, in quell’inquieto e curioso soggetto che, per apparente caso o per genetica predestinazione inizia a sentire un po’ stretti i vincoli della realtà materiale quotidiana, per cui cerca, doverosamente, di guardare AL DI LA‘, più avanti dell’angusto orizzonte. Per dirla con i marinai, perseguono l’Azimut senza accorgersi che dall’alto, dallo Zenit, qualcosa getta lo sguardo su di essi.

Ma dicevamo del silenzio e della solitudine: perchè l’Alchimista, una volta varcata la soglia del suo Laboratorio, è solo, o meglio, solo con il suo personale Microcosmo in cui incarnare il ruolo di Demiurgo. Solo ad attendere ad un compito delicato quanto spaventoso per la sua portata. E, forse, egli soltanto sa, in cuor suo, se reggerà alla prova, nè potrebbe garantire in questo per un eventuale compagno… che peraltro non è consentito. Se dovesse anche essere talmente fortunato da aver incontrato addirittura un Maestro, un Adepto che lo indirizzi e lo guuidi lungo gli arcani dell’Arte, pure dovrebbe compiere da solo il proprio cammino: Eugene Canseliet racconta di aver percorso la ‘durissima’ via umida della Galena (falsa? ma utile?) senza che Fulcanelli lo distogliesse da tal proposito. Naturalmente, Canseliet poi (poi…) percorse ben altra Via.

Eppure, in passato sono sorti circoli iniziatici depositari di grandi conoscenze, come i Rosa Croce, ad esempio: condividevano essi le loro conoscenze? Nessuno lo sa, nè ci sarà consentito saperlo.  Allievi di un medesimo Adepto magari sanno l’uno dell’altro, e probabilmente si incontrano: chi ha iniziato il Cammino con un Compagno può dunque scambiare consocenze, impressioni, informazioni?

E’ d’altra parte altrettanto innegabile che  tutti i Maestri hanno lasciato traccia del proprio sapere, facendo apparire, nel corso dei secoli, testi di Alchimia: complicatissimi, è vero, redatti con lucida chiarezza di visione e velati da sovrapposizioni di Vie diverse (Filalete, Altus) o scomposti concatenando operazioni distanti fra loro, inventando allegorie, insomma rendendo difficilissimo e scoraggiante la comprensione stessa del testo.

Eppure, anche alla prima lettura di un testo appare chiaro come il Maestro del Medio Evo usi richiami, frasi, immagini che il Maestro del XX secolo saprà riprendere e tendere così il fil rouge attraverso i secoli. E l’esigenza di trasmettere un sapere così segreto senza rischiare che capiti in mani sbagliate che lo pervertirebbereo ‘per artem diabolicam’ ha portato alla costruzione di un monte di allegorie, trappole, ammiccamenti semantici e semplici assonanze, che costituiscono la Koinè degli Alchimisti, la cosiddetta ‘Cabala Fonetica’ ed il ‘Linguaggio degli Uccelli‘.

Oggi tutto questo può apparire anacronistico. Oggi siamo talmente ‘accessibili’ e ‘tracciabili’, grazie anche al mezzo telematico che io stesso sto usando in questo momento da rendere necessario elaborare leggi sulla ‘privacy’.

Ed io stesso, in questo momento, scrivo di Alchimia su un blog, aperto a letture e commenti. Relativamente sicuro, dato l’esiguo numero di conoscenze che potrei rivelare, ma dettato comunque da un impulso del cuore (dove ho sentito questa frase?), con la consapevolezza che altri, poco distanti da me, percorrono un loro Cammino che , di tanto in tanto, ad un incrocio di sentieri, sarà possibile condividere. Anche solo in termini di solidarietà, fra Cercatori innamorati della propria gioiosa follia, di cui conoscono la fatica.

Chemyst