L’ultimo dì de maggio

Carissimi,

di Rugiada di Maggio abbiamo già parlato, ed esplorato brani musicali antichi che contenessero nel loro testo sia l’uno che l’altro termine: chi volesse tornare a darvi un’occhiata (sempre utile) troverà l’articolo qui.

Oggi però sono rimasto colpito da un brano in italiano, di Sebastiano Festa (da non confondere con Costanzo, il ‘Fiammingo’ d’Italia) dal titolo ‘L’ultimo dì de maggio‘, a 4 voci miste, dal sapore giocoso ed amoroso al tempo stesso.

Mentre ascoltate il brano,

se volete, sorridete con me leggendo (voi che conoscete il valore delle parole) il relativo testo:

L’ultimo dì de maggio,
Un bel mattino per la fresca rosata
Se n’andava la bella allo giardino
Da vinti damigelle accompagnata;
Ogni una innamorata,
Gentil, accorta e bella.
Tandaridondella.
Oimè, che l’è pur quella
Che m’ha ligato il cor
Che me l’ha tolto
Con la beltà del suo splendente volto.

Una canzonetta amorosa, mi direte. E’ corretto: anche l’incipit è quello della ‘canzone alla francese’ anche se con valori rapidi. Tuttavia, il testo mi induce a qualche considerazione che, con una buona dose di fantasia, potrebbe avere risvolti dell’altra Arte che mi appassiona, ovvero l’Alchimia.

Le parole chiave sono: maggio, il mattino, la ‘rosata’ ed il giardino.

Di maggio si è scritto tanto: la rugiada di maggio (La rousee du mois de May) è il titolo di tre Chanson di cui parlammo già, la prima anonima del Quattrocento, la seconda che ne riprende il tema è firmata da Richafort e la terza dal grande Jean Mouton.

Più interessante è la ‘rosata‘, translitterazione (più che traduzione) del francese Rosee (o Rousee nel francese rinascimentale), che suggerisce un ipotetico verbo ‘rosare‘, ovvero fare qualcosa con una rosa. Orbene, la Rosa è uno dei simboli della Grande Opera, ed il Rosario dei Filosofi il titolo di un notissimo trattato antico. Rosario è anche il nome del giardino di rose (il Roseto), così come il recitare un certo numero di preghiere per la Vergine Maria (e maggio è il mese della Madonna), simboleggiando la corona di rose che può adornare il capo della Madonna (ma non erano stelle?) ed in ogni caso l’oggetto (una collana di grani utile per contare le relative preghiere). Questa del Rosario è una ramificazione interessante, che potrebbe magari essere spunto di osservazioni e commenti oppure di un filone autonomo di ricerca: noi stavamo peraltro occupandoci della ‘rosata’, definita ‘fresca‘, e che quindi si riferisce ad un abbondante spandimento di rugiada sui campi e naturalmente anche sui giardini.

Ma torniamo al brano musicale: la ‘bella‘, dopo la ‘fresca rosata‘ entra in un giardino. Lo fa accompagnata da venti damigelle, ognuna delle quali è innamorata, ovvero piena d’amore. Eppure lui, l’innamorato, ha occhi solo per lei, la ‘bella‘, che dev’essere di ben più alto lignaggio e forse di gran lunga più bella delle altre venti, che pure sono gentili, accorte  e belle… Lei no, lei è di più, lei gli ha prima ligato e poi tolto il cor ‘con la beltà del suo splendente volto‘.  Par di vederla, mentre gli sfila davanti per recarsi in un luogo, a lui precluso, un giardino, assieme alle damigelle. Precluso forse poiché son tutte donne e lui un uomo. ‘Nature‘ opposte.

Oppure potrebbe essere che il nostro Poeta non possieda, semplicemente, la chiave per accedere all’Hortus Conclusus, al Giardino dei Filosofi: perché l’immagine di una figura femminile la cui bellezza supera quella delle altre, fa pensare alle personificazioni della stessa Alchimia, spesso descritta come una Dama dalla bellezza assoluta, spesso sans merci, altre volte affascinante e caritatevole come la Ninfa Celeste di Cyliani.

Ebbene, questa Dama ha ligato prima e poi tolto il cuore dell’innamorato: se pensiamo che in Alchimia al cuore è associato lo Zolfo (posto nel vero centro del corpo minerale, come il cuore lo è dentro il corpo umano) allora non ci riuscirà difficile leggere questa canzonetta di Festa come un’operazione alchemica, con materie, condizioni esteriori, adiuvanti bellamente velati sotto gradevolissime e raffinate sonorità.

Buoni Lavori a tutti!

Chemyst

 

L’ultimo dì de maggio

Carissimi,

di Rugiada di Maggio abbiamo già parlato, ed esplorato brani musicali antichi che contenessero nel loro testo sia l’uno che l’altro termine: chi volesse tornare a darvi un’occhiata (sempre utile) troverà l’articolo qui.

Oggi però sono rimasto colpito da un brano in italiano, di Sebastiano Festa (da non confondere con Costanzo, il ‘Fiammingo’ d’Italia) dal titolo ‘L’ultimo dì de maggio‘, a 4 voci miste, dal sapore giocoso ed amoroso al tempo stesso.

Mentre ascoltate il brano,

se volete, sorridete con me leggendo (voi che conoscete il valore delle parole) il relativo testo:

L’ultimo dì de maggio,
Un bel mattino per la fresca rosata
Se n’andava la bella allo giardino
Da vinti damigelle accompagnata;
Ogni una innamorata,
Gentil, accorta e bella.
Tandaridondella.
Oimè, che l’è pur quella
Che m’ha ligato il cor
Che me l’ha tolto
Con la beltà del suo splendente volto.

Una canzonetta amorosa, mi direte. E’ corretto: anche l’incipit è quello della ‘canzone alla francese’ anche se con valori rapidi. Tuttavia, il testo mi induce a qualche considerazione che, con una buona dose di fantasia, potrebbe avere risvolti dell’altra Arte che mi appassiona, ovvero l’Alchimia.

Le parole chiave sono: maggio, il mattino, la ‘rosata’ ed il giardino.

Di maggio si è scritto tanto: la rugiada di maggio (La rousee du mois de May) è il titolo di tre Chanson di cui parlammo già, la prima anonima del Quattrocento, la seconda che ne riprende il tema è firmata da Richafort e la terza dal grande Jean Mouton.

Più interessante è la ‘rosata‘, translitterazione (più che traduzione) del francese Rosee (o Rousee nel francese rinascimentale), che suggerisce un ipotetico verbo ‘rosare‘, ovvero fare qualcosa con una rosa. Orbene, la Rosa è uno dei simboli della Grande Opera, ed il Rosario dei Filosofi il titolo di un notissimo trattato antico. Rosario è anche il nome del giardino di rose (il Roseto), così come il recitare un certo numero di preghiere per la Vergine Maria (e maggio è il mese della Madonna), simboleggiando la corona di rose che può adornare il capo della Madonna (ma non erano stelle?) ed in ogni caso l’oggetto (una collana di grani utile per contare le relative preghiere). Questa del Rosario è una ramificazione interessante, che potrebbe magari essere spunto di osservazioni e commenti oppure di un filone autonomo di ricerca: noi stavamo peraltro occupandoci della ‘rosata’, definita ‘fresca‘, e che quindi si riferisce ad un abbondante spandimento di rugiada sui campi e naturalmente anche sui giardini.

Ma torniamo al brano musicale: la ‘bella‘, dopo la ‘fresca rosata‘ entra in un giardino. Lo fa accompagnata da venti damigelle, ognuna delle quali è innamorata, ovvero piena d’amore. Eppure lui, l’innamorato, ha occhi solo per lei, la ‘bella‘, che dev’essere di ben più alto lignaggio e forse di gran lunga più bella delle altre venti, che pure sono gentili, accorte  e belle… Lei no, lei è di più, lei gli ha prima ligato e poi tolto il cor ‘con la beltà del suo splendente volto‘.  Par di vederla, mentre gli sfila davanti per recarsi in un luogo, a lui precluso, un giardino, assieme alle damigelle. Precluso forse poiché son tutte donne e lui un uomo. ‘Nature‘ opposte.

Oppure potrebbe essere che il nostro Poeta non possieda, semplicemente, la chiave per accedere all’Hortus Conclusus, al Giardino dei Filosofi: perché l’immagine di una figura femminile la cui bellezza supera quella delle altre, fa pensare alle personificazioni della stessa Alchimia, spesso descritta come una Dama dalla bellezza assoluta, spesso sans merci, altre volte affascinante e caritatevole come la Ninfa Celeste di Cyliani.

Ebbene, questa Dama ha ligato prima e poi tolto il cuore dell’innamorato: se pensiamo che in Alchimia al cuore è associato lo Zolfo (posto nel vero centro del corpo minerale, come il cuore lo è dentro il corpo umano) allora non ci riuscirà difficile leggere questa canzonetta di Festa come un’operazione alchemica, con materie, condizioni esteriori, adiuvanti bellamente velati sotto gradevolissime e raffinate sonorità.

Buoni Lavori a tutti!

Chemyst

La Vita Minerale

E’ una specie di dogma per l’Alchimista. I minerali sono vivi, la loro vita è semplice, ma proprio per questo vicina all’Origine, alla Creazione e quindi al Divino. Addirittura i maestri ci ripetono fino all’ossessione COME lo Spirito Universale penetri fino al centro del pianeta (vivo anche lui, non dimentichiamo i ‘Globi’ di Cyliani) e qui formi un mercurio il quale poi ‘evolve’, unendosi a zolfi più o meno adatti per fermarsi a vari gradi di perfezione, senza quasi mai raggiungerla (con l’eccezione dell’oro). Qui interviene l’Artista, quando e se ne ha le capacità, l’opportunità e l’investitura Celeste, per aiutare la Natura nel suo percorso.

Ma torniamo alla vita: come ci accorgiamo noi del fatto che qualcosa vive? Due sono le caratteristiche: una, che si muove; due che cresce, si evolve.

Per la seconda, (ma, come vedremo, anche per la prima) è una questione di tempi e di velocità: siamo avvezzi, da piccole egoistiche ed egocentriche creature, a considerarci al centro del Cosmo, che è fatto a metro e misura di noi stessi: fino a poche centinaia di anni fa la Terra era al centro dell’Universo, e l’Uomo il Signore della Natura intera. Che follia!

Mi piacerebbe che tutti vedessero uno dei film di Star Trek, dove una macchina evoluta considera gli umani (le ‘unità – carbonio’) un’infezione dell’astronave Enterprise… se proprio non vogliamo considerarci un’infezione, o una sciagura per la Terra (“voi siete il sale della terra” diceva qualcuno… ma provate a sparger sale su un campo: Attila lo fece, per condannare alla fame i contadini!), cerchiamo di sforzarci a considerarci ospiti.

Così, se vediamo un cristallo, o magari una stalagmite in una grotta, la vediamo statica, ferma: eppure cresce, per minime apposizioni di acqua calcarea che scivola via e  lascia piccole quantità, invisibili ai nostri sensi ottusi, di calcare che si appone piano piano, per gradi, allo strato precedente. E se torniamo dopo una settimana, la stalagmite è CRESCIUTA.  E’ viva?  beh, almeno uno dei due criteri enunciati, la crescita, lo  possiede…

Ma torniamo ai tempi: a tutti è capitato di osservare delle figure in movimento, ad esempio, degli amici che ballano ad una festa in pineta… Abbiamo un apparato visivo di tutto rispetto, con una frequenza di fusione sufficiente a farci percepire la maggior parte dei movimenti con un discreto dettaglio: non avremo dunque difficoltà a percepire le aggraziate movenze dell’esile biondina o la scatenata danza della sensuale mora… Ma se provate a fotografarle? Con poca luce, senza usare il flash che ci imprime sul film (oggi sul supporto magnetico) un micro-evento di 1/40000 di secondo, siamo costretti ad aprire il diaframma dell’obiettivo per tempi più lunghi… ed ecco che la pista da ballo, a seconda della lunghezza de tempo di esposizione, sembrerà popolata da figure deformi, sovrapposte o, via via, diafane, quasi fantasmi…  anche una folla che prende la metro può diventarlo… ecco come potremmo apparire noi alle montagne, se avessero occhi con una percezione lenta come una Posa B della macchina fotografica… e, viceversa, a noi le montagne sembrano immobili. E se l’universo fosse popolato in contemporanea da creature la cui velocità del vivere e del percepire fossero straordinariamente più lente o più veloci della nostra? Semplicemente, NON CE NE ACCORGEREMMO.

Ma dunque, se per suppore l’esistenza di vita dobbiamo presupporre che coesistano crescita e movimento, potreste obiettare (con molto senno), che gli esempi che abbiamo portato non sono completamente esaurienti, ovvero che non  vi sono presenti entrambe le condizioni. Giusto. Ma se prendiamo un qualche minerale con struttura cristallina (quindi, con una struttura che come sappiamo si è lentamente sviluppata in seno alla terra, ossia è cresciuto) e lo sottoponiamo all’azione di un fuoco dalla temperatura adeguata, possiamo portarlo al punto di fusione: lo vedremmo allora statico, fermo, fisso?  No, lo vedremmo sciogliersi, cambiare di forma, e via via anche ribollire, se saliamo con l’energia che gli somministriamo tramite il calore. Energia: già, ma noi ‘unità-carbonio’ non abbiamo bisogno di energia, di nutrimento? Forse le creature del mondo minerale hanno necessità di quel particolare nutrimento.  Ah, magari qualcuno ora vorrà parlare di entropia, mi dirà che il calore è lo stadio di degradazione finale dell’energia… sapete, mi fa sorridere l’idea (e per più ragioni!) che un prodotto di risulta possa essere considerato un nutrimento! Già, ci vuole un pizzico di follia per ragionare in questi termini, prendendosi la libertà di andare avanti e indietro lungo la scala dell’energia e del tempo, ma gli alchimisti lo sono. E lo fanno a loro piacimento.

Di energia parla Paolo Lucarelli nel suo meraviglioso articolo sull’Anima del Mondo: lo fa con le parole di  Guglielmo di Conches : “Ma ci si chiede cosa sia quell’energia. Ma, come mi sembra, quell’energia naturale è lo Spirito Santo, cioè una divina e benigna armonia che è ciò da cui tutte le cose hanno l’essere, il muoversi, il crescere, il sentire, il vivere, il giudicare… Infatti alcuni corpi li vivifica e fa crescere, come le erbe e gli alberi: alcuni li fa percepire attraverso i sensi, come gli animali bruti; alcuni li fa emettere giudizi, come gli uomini, una e la stessa permanendo l’anima; ma non si sviluppa il medesimo potere in tutti, ciò a causa dell’inerzia e della natura dei corpi.”

Se ne potrebbe dedurre che, forse, i minerali sono vivi a condizioni particolari, che non necessariamente sono le nostre: la vita minerale, quindi, alle miti temperature così favorevoli agli umani, potrebbe sempliemente essere latente: questa parola ricorre nei testi alchmici.

Latet sol in sidere.

D’altro canto, una delle frontiere della ricerca  umana (folle, per un alchimista) sul prolungamento della vita o sulla sua sospensione prende in considerazione l’ibernazione: un corpo umano ibernato appare senz’altro privo di vita ad un altro essere vivente. Eppure la vita non è assente, solo sospesa… non è molto diversa, questa condizione, da quella di un paziente sottoposto ad intervento cardiochirurgico in ipotermia e circolazione extracorporea. Situazioni limite, certo. Ma reali, paradossali, eppure dialetticamente efficaci. Perciò, se un minerale è vivo a 1100°C, a 25 °C potrebbe essere ibernato…

Insomma, le dimensioni della vita potrebbero non essere sempre le medesime, o potrebbero esister più tipi di vita, non necessariamente a condizioni paragonabili a quelle che conosciamo per noi e per organismi non dissimili dal nostro. Forse ragionare sulla vita senza presumere che la nostra sia l’unica possibile è utile (alla Cerca) se non altro per forzare un poco quella gabbia di convenzioni che il nostro rassicurante egocentrismo costruisce intorno a noi e ci impedisce di sognare il meraviglioso.

Chemyst