Rorate Caeli desuper

Cari cercatori,

nel continuare, a dispetto dei tempi, ed anche con qualche giorno di ritardo, la nostra tradizione di formulare, in questi giorni di rinnovamento della luce, gli auguri a tutti i cercatori di buon cuore, ci sovviene, per averci di recente meditato su, un passo di Canseliet in “Due Luoghi Alchemici” a proposito della rugiada.

In quel passo Canseliet infatti cita un passo di Isaia, che si canta durante l’Avvento e che precisa di quale rugiada si tratti. Eccolo: “… Lo studioso conosce l’autorità della Tavola di Smeraldo che, secondo padre Athanasio Kircher, racchiude il segreto della medicina universale. Certissimus est, afferma al superlativo l’eminente Gesuita. Molti artisti hanno dato alla rugiada – Rhosis -Forza – più esattamente al sale che se ne trae, il nome di smeraldo dei filosofi. Questo è verde come la gemma di gran valore, ed è per lo stesso motivo di somiglianza sia nel colore sia nella struttura vetrosa, che ha ricevuto anche l’ Appellativo di vitriolo comunemente dato dagli spagiristi al solfato di ferro. Sulla base dell’esperienza positiva, siamo in grado di assicurare che lo spirito universale verde è la materia nascente, allo stato puro, tangibile e facilmente ponderabile, che è quell’oro immaturo spirituale e cristico di cui parlano tutti i veri alchimisti: “Cieli, inviate dall’alto la vostra rugiada: e che le nubi facciano scendere il giusto come pioggia; che la terra sia aperta, e che produca il Salvatore; e che nello stesso tempo nasca la giustizia. Io sono il Signore che l’ha creato“ (Isaia, 45,8).

In realtà, ci sono varie revisioni di questo testo, così come per molti passi biblici, secondo il capriccio episcopale del tempo.

Canseliet non riporta qui il testo latino anche se ce ne fornisce bene il senso, ma eccolo qui:

“Rorate, cæli, desuper, et nubes pluant justum ;

aperiatur terra, et germinet Salvatorem, et justitia oriatur simul :

ego Dominus creavi eum”

Nella liturgia dell’avvento si aggiunge un versetto che suona interessante:

“ Caeli enárrant glóriam Dei: et ópera mánuum eius annúntiat firmaméntum”.

La sua traduzione è: “I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani“. Il firmamento, che etimologicamente è qualcosa di fermo (le cosiddette “stelle fisse“), viene usato talvolta come metafora in Alchimia ed è qui descritto come un segno dell’attività divina, forse proprio per la presenza delle stelle. Il primo verso (Rorate etc.) compare poi anche in una preghiera del Liber Usualis.

Tornando al versetto di Isaia, il secondo rigo recita testualmente “et nubes pluant iustum”, tradotto sempre con “giustizia“, anche nella Bibbia di Re Giacomo. Tuttavia, questo termine mi suona come se quella rugiada che piove dei cieli debba essere in quantità giusta (ni mas, ni menos, come nella “pesata poco comune“ del dipinto di Juan de Valdés Lèal alla Santa Caridad di Siviglia).

Canseliet poi, in nota, ci suggerisce di tornare indietro di 43 pagine, all’epigrafe sopra la porta magica:

Secondo l’allievo di Fulcanelli tale epigrafe “precisa lo scopo fisico“ (ovvero l’apertura della terra) “e la conseguenza sociale“ (ovvero la salute del popolo). Ecco, qui magari avrei tradotto “salvezza“.

In musica, nel periodo che più si appassiona e nel quale compositori illuminati hanno tentato di preservare “l’insegnamento iniziatico che avrebbe dovuto conservare“ il testo sacro, troppo spesso e anche di recente rimaneggiato, siamo affezionati al Rorate Caeli desuper di Francisco Guerrero, degno allievo di Cristobal de Morales, a sua volta maestro di scuola franco fiamminga e incluso nel secondo elenco di musici nel nuovo prologo al quarto libro di Pantagruele da parte dell’iniziato Rabelais.

Non sfuggirà ad alcuno, ascoltando il brano ed osservando lo scorrimento delle note, l’andamento ‘dalla terra al cielo’ della melodia, peraltro presente anche nella fonte gregoriana.

’.

Nel mottetto di Guerrero il testo originario è integrato dalle parole del Salmo 85:8 e di Abacuc 2:3:

“Ostende nobis Domine misericordiam tuam et salutare tuum da nobis, veni, Domine, et noli tardare”

Sono inoltre osservate alcune regole del descrittivismo del tempo: le note più acute sono sulle parole ‘desuper’, ‘misericordiam’, ‘salutare’ e, a sottolineare sia la sede dell’invocazione sia la sua drammaticità, la parola ‘veni’; la nota più grave è ovviamente sulla parola ‘terra’.

E’ con questa bella esecuzione, intrisa di misticismo, che auguriamo a tutti un prospero 2023, con “terra grassa e abbondanza di rugiada“.

Chemyst

Media vita in morte sumus…

Cari Amici,

quando avvenne il terremoto dell’Aquila, i primi a sincerarsi della mia buona salute (ero sufficientemente lontano…) sono stati i miei cari Compagni di Cerca. L’evento, terribile, fu causa di profonde riflessioni sulla caduca fragilità del nostro vivere. Ci tornarono in mente le apocalittiche parole di Canseliet, nella sua Prefazione alle Dimore Filosofali, parole che suonano tremendamente allarmanti ancora, dopo la tragedia Giapponese. L’allarme anzi si carica d’angoscia, alla notizia che lo Tsunami asiatico abbia spostato l’asse terrestre di ‘ben’ 10 centimetri… Cosa accadrebbe, duunque, nel caso il ‘Bouleversement‘ di cui parla Canseliet (che, lo ricordo, presuppone l’INVERSIONE dell’asse terrestre) non fosse soltanto una metafora alchemica? Se ‘soli’ 10 cm sono stati in grado di mettere in ginocchio il paese più attrezzato e sicuro per i terremoti nel mondo, cosa resterebbe della nostra civiltà se l’asse percorresse le centinaia di migliaia di chilometri che formano l’emicirconferenza del nostro globo terracqueo?

Il tema – ancorchè terrificante – è nondimeno appassionante: ne accennai tempo fa, all’inizio di questo Blog qui e, in una inesauribile fonte di notizie ad ogni rilettura, anche Captain Nemo qui. Esso porta  ad interrogarsi sui grandi perchè della vita, cosa peraltro che ogni Cercatore serio fa, di tanto in tanto, con sereno distacco, accanto al fuoco.

Probabilmente, la tecnologia odierna ha acuito il nostro (ahimè erroneo) senso d’immortalità, e per di più di immortalità terrena: che è poi anche uno degli splendidi specchi per allodole ( e che specchio!) posto davanti ai nostri occhi da Dama Alchimia, e che tanta avidità (e pari incredulità!) ha da sempre scatenato nell’uomo.

Non è sempre stato così: una concezione ben diversa, forse più reale, era nei pensieri dei nostri antenati. Ancora una volta, testimone duratura di ciò è stata ed è la Musica. Ecco le parole di un inno gregoriano dalla storia molto particolare e controversa, e per questo piena di fascino:

Media vita in morte sumus
Quem quærimus adjutorem nisi te, Domine?
Qui pro peccatis nostris juste irasceris
Sancte Deus, Sancte fortis, Sancte et misericors Salvator,
Amaræ morti ne tradas nos.

In Te speraverunt Patres nostri,
speraverunt et liberasti eos.
Ad Te clamaverunt Patres nostri,
clamaverunt et non sunt confusi.

Sancte Deus, Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto:
sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum. Amen.

Il testo è pieno di drammaticità, con quei vocativi finali, e di sentita contrizione, con la certezza dell’Ira di Dio (“pro peccatis nostris juste irasceris“), laddove oggi tendiamo a negare persino un’intelligenza nel Creato… Per carità, non voglio per questo dire che il sisma nipponico sia dovuto all’Ira di Dio, soltanto che, nel Medio Evo, si aveva quotidiana dimestichezza con carestie, cataclismi, guerre, pestilenze et alia che l’uomo d’allora aveva ben chiara la propria fragilità.

Il Canto, pieno di fascino, e che termina con una cadenza sospesa, è un Canto Ambrosiano su testo attribuito a Nokter Balbulus, X secolo, Monaco di San Gallo (Svizzera), ma sulla cui attribuzione Gustav Reese solleva qualche dubbio.  Qui di fianco è raffigurato in una vetrata non in veste di compositore o biografoo (gli è attribuita anche una biografia di Carlo Magno), bensì di esorcista.

Sull’antifona, abbiamo una più che esauriente trattazione da parte di Giovanni Vianini qui:

Nell’intenzione di Nokter Balbulus o di chi per lui, è un’Antifona Ambrosiana del Quarto Sabato di Quaresima, da cantarsi alle lodi. Tuttavia, Jules Combarieu, nel suo ‘La Musica e la Magia‘ ci racconta che tale inno venne bandito con bolla papale per l’uso improprio che se ne faceva nel Medio Evo: pare infatti che, in quei tempi privi d’anagrafe, venisse utilizzato quasi come un mortifero ‘mantra‘, un incantesimo, commissionando ad un ignaro sacerdote una messa da morto durante la quale venisse cantata quest’antifona, con il dedicatario ancora in vita…

L’inno, tuttavia, come avete potuto ascoltare, è di singolare bellezza, ed ha ispirato, in forma parodica o con lo stile del Cantus Firmus, diversi compositori. Fra essi, per il contenuto spirituale del brano, non potevano mancare due fra i più grandi Fiamminghi, Nicolas Gombert e Roland de Lassus; il primo ha anche composto una Missa Media Vita. Questa è la sua versione polifonica del testo ambrosiano:

Nicolas Gombert è un compositore fiammingo, vissuto fra il 1495 ed il 1560; Wikipedia lo dà verosimilmente allievo di Josquin Desprez fra il 1515 e il 1521, mentre a partire dal 1526 fu cantore e anche compositore  presso la cappella reale di Carlo V. A partire dal 1529 fu Magister puerorum, cioè insegnante delle voci bianche del coro reale; con questo coro ebbe il modo di cantare in tutti i possedimenti dell’impero. Non ricoprì mai la posizione di maestro di cappella (titolo che venne affidato invece poco dopo a Thomas Crecquillon), ma fu compositore e produsse molte composizioni celebrative degli eventi più importanti del regno di Carlo V. A partire dal 1540 non vi sono più testimonianze della sua attività corale: stando ad una testimonianza del matematico Girolamo Cardano, Gombert fu accusato di violenza sessuale nei confronti di un ragazzo e fu condannato ai lavori forzati nelle galee. Ricevette la grazia probabilmente nel 1547, anno in cui scrisse una lettera al Gran Capitano di Carlo V, Ferrante I Gonzaga; secondo la testimonianza del Cardano, fu scrivendo il suo Magnificat e inviandolo all’imperatore (il quale ne restò profondamente commosso) che riuscì a ottenere la grazia.

Non so se l’accusa fosse fondata, fatto sta che ascoltando le sue composizioni si avverte un profondo respiro mistico ed una grandissima padronanza dei mezzicompositivi, oltre ad una conoscenza vasta del repertorio musicale dei suoi contemporanei. La sua versione del Media Vita è basata su piani sonori sovrapposti, con effetti di grande drammaticità e di potente suggestione: l’inizio con il tema che parte dalle voci gravi e si eleva dapprima faticosamente poi via via sempre più in alto descrive con efficacia un’anima strappata alla terra che sale in Cielo.

Perdonate questa mia digressione (“ma non dovevamo perlare d’Alchimia?” già starà pensando qualcuno…), tuttavia ritengo di non essere del tutto ‘off topic‘ ragionando di caducità della vita umana, quella caducità che spinge da sempre l’uomo a trovarvi rimedio; non è off topic neppure porsi interrogativi sul perchè tanti Adepti l’hanno fatto, nei loro scritti: Fulcanelli all’ultimo momento ha deciso di non divulgare il suo Finis Gloriae Mundi (ovviamente quello ‘in vendita’ è una bufala), anche se Canseliet e Laplace ne hanno divulgato dei frammenti, e lo stesso Canseliet, nella citata prefazione alle Dimore, ed anche passim nei suoi due libri L’Alchimia invita a riflettere ed induce il lettore a prendere dimestichezza con la divergenza fra le aspirazioni umane ed il cammino inesorabile nella propria coerenza di Madre Natura, le cui meravigliose manifestazioni possono assumere ai nostri occhi anche aspetti di inaudita violenza  ed indifferente crudeltà.

Una spiegazione alternativa, ancorché neppure di un po’ più consolante, l’abbiamo grazie al beffardo ma appassionato intervento di Paolo Lucarelli ai Colloque Canseliet, la cui rilettura è, al pari di qualsiasi autentico testo ermetico (perchè è un testo ermetico anch’esso), fonte di continue sorprese e scoperte, ma nel quale, nel suo livello palese di lettura, egli parla di Dio in vari modi, o meglio, parla di Dio e del Demiurgo (e non sono certo affatto che secondo lui fossero la medesima persona), ed a proposito di quest’ultimo lo delinea come responsabile della corruzione del nostro universo a causa di errori grossolani, a loro volta fonte delle nostre sofferenze ed imperfezioni.

Anche lì, mentre ironizza sul suo Francese, o censura illustri relatori con battute al… vetriolo, o sorride, o si commuove, l’Ultimo Adepto ci indica una Via di speranza, quella che pochi folli, fra breve, torneranno tutti insieme a coltivare, per il nostro bene, in un modo che mi è ancora oscuro ma che percepisco come vero.

Un saluto dal Bosco.

Chemyst

 

 

 

Veni Creator Spiritus

Cari Compagni di Cerca,

il testo di Veni Creator Spiritus, da quando studio Alchimia, mi riporta in mente le parole vibranti di Captain Nemo che riporta Lucarelli: “Vieni a casa mia”.

Eppure, quante volte ho cantato (e diretto) il ‘Veni Creator Spiritus’ di Perosi, in occasione delle Cresime, in chiesa, con il coro: anche allora chiedevamo allo Spirito Santo di scendere su quel gruppo di adolescenti in coda davanti al prete, ma non con la consapevolezza che quel canto sacro richiedeva,  nostra come di quei giovani distratti dall’atmosfera di festa, da amici e parenti, dall’orologio in regalo… a pensarci oggi, ho come un brivido.

Ma cos’è il Veni Creator Spiritus? Ecco cosa ne dice Wikipedia, l’enciclopedia libera:

“Il Veni Creator Spiritus, in italiano Vieni Spirito Creatore è un inno liturgicoSpirito Santo ed attribuito a Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza, del IX secolo. dedicato allo

La versione più conosciuta è quella gregoriana, ma è stato musicato anche da numerosi autori di musica polifonica e classica. Persino Mina ne ha inciso una versione, contenuta nel disco di musica sacra Dalla terra.

Viene regolarmente cantato nell’ufficio delle Lodi e dei Vespri della festa di pentecoste e viene spesso accostato alla sequenza Veni Sancte Spiritus.

Oltre che a pentecoste, viene anche cantato in particolari avvenimenti solenni per invocare lo Spirito Santo, quali in occasione del conferimento del sacramento della confermazione, durante l’elezione del Papa dai cardinali nella Cappella Sistina, per la consacrazione dei vescovi, per l’ordinazione dei sacerdoti, per i concili ed i sinodi e per l’incoronazione di un sovrano”.

Ma chi era Rabano di Magonza? Un Carolingio molto erudito, dalla produzione letteraria e filosofica notevole: eccovene i  titoli, alcuni dei quali interessanti anche per noi, malati di Alchimia.

  • Commentaria in libros veteris et novi testamenti
  • Liber de laudibus Sanctae Crucis
  • De institutione clericorum
  • De computo
  • De oblatione puerorum
  • De praescientia et praedestinatione, de gratia et libero arbitrio
  • De disciplina ecclesiastica
  • Paenitentialia
  • De universo (o De rerum naturis)
  • Liber de originibus rerum) libri XXII
  • Martyrologium
  • De anima
  • Carmina
  • Epistulae

Pur se definito un ‘monotono compilatore‘ (E.R. Curtis), egli ebbe il pregio di organizzare, sistematizzare e divulgare (a quei pochi in grado di leggerle) le conoscenze del suo tempo. Nel ‘De Universo’ ad esempio si parla approfonditamente del Sole e della Luna, e sebbene egli sia del IX secolo e l’introduzione dell’Alchimia  avviene ‘ufficialmente’ solo con Roberto di Chester, almeno tre secoli dopo, purtuttavia è interessante dare un’occhiata alle conoscenze cosmogoniche dell’epoca.

Ma ecco il testo:

Testo latino

Veni, CreatorSpiritus

mentes tuorum visita

Imple superna gratia

quae tu creasti pectora.

Qui diceris Paraclitus,

Altissimi donum Dei,

fons vivus, ignis, caritas,

et spiritalis unctio.

Tu septiformis munere,

digitus paternae dexterae;

tu rite promissum Patris,

sermone ditans guttura.

Accende lumen sensibus,

infunde amorem cordibus,

infirma nostri corporis,

virtute firmans perpeti.

Hostem repellas longius,

pacemque dones protinus,

ductore sic te praevio,

vitemus omne noxium.

Per te sciamus da Patrem,

noscamus atque Filium,

teque utriusque Spiritum

credamus omni tempore.

Deo Patri sit gloria

et Filio, qui a mortuis

surrexit, ac Paraclito,

in saeculorum saecula.

Amen.

Traduzione italiana (Wikipedia)

Vieni, o Spirito creatore,

visita l’anima dei tuoi fedeli,

ricolma di grazia divina

i cuori che hai creato.

Tu sei chiamato Consolatore,

dono di Dio altissimo,

fonte viva, fuoco, amore,

unzione santa e gioia di vita.

Tu dono perfetto e molteplice,

dito di Dio creatore,

solenne promessa del Padre,

per te fiorisce l’umana parola.

Con la tua luce illumina i sensi,

infondi l’amore nei nostri cuori,

le stanche membra del corpo ristora,

con il tuo forte ed eterno vigore.

Da noi respingi l’antico nemico

e senza indugio concedi la pace,

Cammina dinanzi al tuo popolo

affinché non perisca nel male.

Facci conoscere il Padre,

svelaci il mistero del Figlio

e del tuo coeterno Spirito,

fa che sempre in te noi crediamo.

Sia gloria a Dio Padre,

al Figlio, che è risorto dai morti

e allo Spirito Santo

per tutti i secoli.

Amen.

Al solito, provo a dare una meno elegante e più ‘filologica’ traduzione: “Vieni, Spirito Creatore, visita le menti dei tuoi (fedeli?), riempi di superna grazia i petti che tu hai creato.  Tu che ti dici Consolatore. Altissimo dono di Dio, fontana viva, fuoco, carità e unzione di spirito, Tu, dono dalle sette forme, dito della mano destra del Padre, tu promesso del Padre con un rito, che con un discorso arricchisci le gole (?) Accendi il lume ai sensi, infondi l’amore ai cuori, indebolisci i nostri corpi, che consolidi con fortezza costante. Respingi il nemico a lungo, e dona subito pace, con te che conduci davanti eviteremo ogni danno(?) Per tuo tramite facci consapevoli del Padre e conosciamo il Figlio e con te lo Spirito al pari di Te di ogni tempo. Sia gloria a Dio Padre, al Figlio che risorse dalla morte, ed al Consolatore, nei secoli dei secoli. Così sia”.

Mi paiono molto ‘risonanti‘ alcune espressioni, riferite allo Spirito Creatore, quali acqua viva e fuoco i quali, fra l’altro, sono attributi  auto-dichiarati dallo Spirito stesso, con il quale in nostro Rabanus Magnentius (ohibò) sembra avere una certa ‘confidenza’. Parecchio ‘operative’, poi, mi sembrano le invocazioni volte ad ‘accendere il lume (lumen) dei nostri sensi  ed infondere l’amore nei nostri cuori, ma soprattutto quell’indebolire e  rafforzare i nostri corpi (quali corpi?), quasi un ‘solve e coagula‘ alternati… Infine, anche il suo attributo di Donum Dei mi suona davvero familiare, e trovo curioso che questo Spirito, emanazione della mano destra del Padre, sia sotto forma di dito ‘septiformis‘ (tradotto ufficialmente con ‘dalle forme molteplici’), ma l’etimologia è indicativa di un numero ben preciso, il sette.

Il testo è stato musicato, per il suo innegabile fascino, da molti musicisti; chissà perchè, però, non mi meraviglia trovare fra di essi il fiammingo Josquin Desprez? Ma andiamo per gradi, ecco innanzitutto l’inno gregoriano

Certo, è una versione con accompagnamento d’organo, ma è anche molto impressionante, e poi… è a Notre Dame de Paris…

Questa è una bella versione ‘pulita’, senza organo:

Questa è la versione di Josquin Desprez: l’esecuzione non è eccezionale, ma è comunque corretta

Ma… dove ho già sentito questa melodia? Ma certo, nell’Ave Maria, Virgo serena dello stesso Josquin! E’ nella seconda parte, quando il testo dice  “Ave vera virginitas, Immaculata castitas, Cuius Purificatio Nostra fuit purgatio.
Ave, praeclara omnibus Angelicis virtutibus, Cuius Assumptio Nostra fuit glorificatio. O Mater Dei, Memento mei. Amen
“. Vi invito però ad esplorare tutto il testo, lo farei qui ma ci allontaneremmo lungo un’altro rivolo del ‘fil rouge’.

A mio avviso, Desprez ha volutamente voluto dare delle indicazioni: sottolineare con la stessa melodia del Veni Creator il passo dell’Ave Maria nel quale si proclama la ‘Vera Virginitas‘ di Maria è molto suggestivo. Il tempo è il ternario perfetto, che veniva usato per sottolineare la particolare sacralità di un enunciato.

Abbiate la pazienza e la compiacenza di ascoltarla tutta:

Ora devo congedarmi, non foss’altro che per la lunghezza insolita di questo post: lungo e vasto, tanto da dover lasciare solo accennate alcune cose. Alla vostra benevolenza l’eventuale approfondimento ed i commenti.

Chemyst