Carissimi Cercatori,
nella Domenica delle Palme il Cristo entra trionfalmente in Gerusalemme. Oltre alla sua figura, spiccano altre due figure allegoriche, ovvero l’asino cavalcato da Gesù e le palme con le quali veniva festeggiato. Molta la musica dedicata all’evento, oltre all’invocazione ‘Osanna’ che ricorre nel Sanctus cantato o recitato ogni domenica: della mia adolescenza però tendo ad associare la Domenica delle Palme a questo intramontabile capolavoro:
La Palma è stata dettagliatamente esaminata da Fulcanelli e poi ripresa da Canseliet: intanto perché è su uno dei suoi rami (o in un nido di sue foglie) che si posa la Fenice quando muore bruciando e si rigenera dalle proprie ceneri. Come non vedervi l’allegoria con il Cristo, zolfo nascente in purezza da una vergine Immacolata, ovvero la nostra materia preparata ad accoglierla (mercurio), che quando giunge a piena maturità deve essere ucciso sulla croce per poter risorgere in un ben diverso Stato, croce che al tempo un po’ stesso simbolo di crogiolo e fuoco segreto tramite i quali “uccidiamo“ le nostre materie dopo lunghi tormenti, compresi “i tre chiodi“ che per gli alchimisti sono tre “aggiunte“ di un sale in grado di aumentare il potere di fusione del calore?
E’ inoltre sotto una palma che si rifugia Latona (altro simbolo alchemico), madre di Apollo (simbolo dell’Oro Filosofico). Severin Batfroi, inoltre, ci riporta il passo di un vangelo apocrifo dove una palma si piega per offrire il suo frutto a Maria incinta (nelle canzoni celtiche la palma diventa un ciliegio, e con questo nome diviene una canzone di Branduardi, che innesta sulla leggenda anche il tema della supposta differenza d’età fra Giuseppe e Maria.
La croce, inoltre, sul cui nome gioca cabalisticamente Fulcanelli per l’affinità fonetica fra Croix e Croiset (crogiolo, che in latino tardo è Crucibulum); inoltre è disegnata sul dorso dell’asino su cui monta Gesù: di questo animale, spesso disprezzato, tesse le lodi Canseliet, citando una bellissima melodia medievale tratta dalla “Festa dell’Asino“, il cui testo fu scritto da Pierre de Corbeil, arcivescovo di Sens. Di esso ci dicono Fulcanelli e Canseliet che si tratti del mitico Aliboron, il cui nome, peraltro, è associato ad un altro personaggio raffigurato nel Plessis Bourré, ma di cui parleremo un’altra volta.
Nella nostra tradizione, come anche dice il brano gregoriano in uso, i fanciulli ebrei agitavano rami di ulivo (nella povera versione volgarizzata in Italiano dalla CEI tornano ad essere peraltro di palma), ma, forse perplesso per questa discrepanza, Tomas Luis da Victoria (vero campione dei canti polifonici di Passione nel Rinascimento) evita la citazione nel suo, bellissimo, ‘Pueri Hebraeorum’ con il quale vi riporto, consapevole di aver solo sfiorato suggestioni alchemiche lasciando a voi il piacere del loro sviluppo, a musiche a me più familiari.
Con queste armonie gioiose vi lascio con l’augurio che la vostra sia una Pasqua serena e proficua.
Chemyst