Sinceritas

Cari compagni di cerca,

auguro a ognuno di voi di trovare un amico, anzi un Amico, dotato della rara dote, scomoda, ruvida a volte, della sincerità.

È una dote che si riconosce da lungi, e se volete non parlo di distanza (o soltanto di distanza) ma di profondità.

Ne nostro mondo Fatto di ricerca, delicata ma spasmodica, di risonanze, simpatie e affinità, cogliere quell’identità di un “clock“ interiore è fonte rara di gioia. Al punto che lo scopo di un viaggio di ore per sfruttare la “coincidenza“ (ma nulla è per caso) del suo passaggio nelle natie Marche Italiche, volto a testimonianze e racconti, esita in un abbraccio d’anime fatto di generosità e doni reciproci ben al di là dello scopo, pur nobile, della mia incursione.

Schiaminossi Raffaello, Sinceritas, 1605

Dalla sua Sveti Rok, dove arderà nuovamente la fiamma del suo Athanor, la narrazione (frammentaria! o tempo tiranno) spazia dallo sciamanesimo alla beat generation, dall’Arte Sacra dell’Alchimia a quella dei Pittori del Rinascimento, dalla Musica di quel tempo all’inquinamento delle “onde“ di cui paventava (ahimè, quanto giustamente) Canseliet, fino alle terre promesse d’Armenia e d’Azerbaijan, forse proprio là dove la vita si riunirà in un solo spazio. E sullo sfondo, quelli che ne hanno parlato: Fulcanelli, Canseliet, Laplace…

È stato un ritrovarsi e riconoscersi, oltre le ferite e le battaglie, le medaglie e le perdite che entrambi abbiamo portato in dote, d’ambo le parti giudicandolo un privilegio.

Non dirò (non gli piacerebbe) chi è quel Fratello che mi ha reso così felice, ma testimonio che esiste, che cammina (felice? Più di molti!) e che conosce, molto di più di tanti pretesi maestri e fratelli maggiori, profondi segreti di Madre Natura e Dama Alchimia.

A lui, grazie dal profondo del cuore.

Chemyst

Equinozio

Cari Cercatori,

ancora una volta la rivoluzione del globo terraqueo ci riporta al punto Gamma che quest’anno è caduto il 20 marzo alle ore 4:06 italiane.

Un caro amico mi ha inviato questa bella fotografia, che spiega meglio di tante dotte parole quanto accade in quel singolo istante:

Al di là di tanta retorica che verrà sicuramente riversata in molti blog e altri social media, importa sottolineare quanto la Natura abbia meccanismi di grande precisione ed efficacia, e come essi rendano evidente la profonda connessione di ogni cosa, di ogni singolo evento.

Questo non significa che tutto sia predestinato o prestabilito, piuttosto ammonisce che le nostre azioni, il frutto del nostro ‘libero arbitrio’ si inscrivono all’interno di una cornice straordinariamente sfaccettata e complessa, cornice niente affatto passiva, anzi, estremamente interattiva con ogni nostra attività, incluso il pensiero. Su questo Canseliet attira la nostra attenzione, nel suo noto capitolo ‘Condizioni esteriori‘ (non solo fisiche o meteorologiche!) nel prezioso ‘L’Alchimia spiegata sui suoi testi classici‘.

Così non posso non rilevare che quando un Fratello ‘per ignem’ decide di postare questo splendido brano di Girolamo Frescobaldi…

… il fatto non può decisamente essere del tutto casuale. Ecco lo spartito, dal quale si potrà evincere il testo ricco di contenuti significativi per ogni alchimista:

È palesemente (apparentemente?) un testo amoroso, ma termini e allegorie hanno possibili altre letture: vediamone alcune.

Se l’aura spira’ è una ricorrente allegoria del Mercurio (‘il vento l’ha portato nel suo ventre’) e ‘la fresca rosa’ rimanda ai significati rosacrociani e alchemici a tutti noti. Più avanti una siepe (qualcosa di vegetante, di color verde, colore indicato con ‘di bei smeraldi’, al plurale, ad indicare la crescita di gemme cristalline di color verde: il nostro Vitriol. Penso che l’autore del testo avrebbe potuto limitarsi a La siepe ombrosa d’un bel smeraldo, se avesse voluto limitarsi a parlare del colore. Il colore stesso peraltro, primaverile per eccellenza, è il chloròs indicativo (su tutti i piani) dell’azione dello Spirito Universale. Ed il Vitriol non teme le temperature elevate (‘d’estivi caldi timor non ha’). Si nomina poi un ‘chiaro fonte’ che sgorga ‘dall’alto monte’ e che ci fa pensare proprio a quel Mercurio che sgorga dalla roccia colpita (la ‘rupe scissa’) dalla verga di Aronne.

Lascio alla fantasia di chi legge fantasticare sugli ultimi due versi, raccogliendo l’invito, espresso velatamente (toh, una vela…) già in premessa, di scacciare i ‘venti di crudeltà‘ che copiosi imperversano sul mondo, ma dal quale non sono esenti neppure alcuni di noi, con danni a distanza e su di sé che sono inevitabili e, tristemente, negati o non percepiti.

Grazie dunque a Jean Artero per la segnalazione musicale ‘sincronica’, e Buon equinozio!

Chemyst

Piccole Annotazioni sulla Musica Filosofale

Carissimi,

sapete bene quale interesse io riponga nelle connessioni fra Musica e Alchimia, dunque il libro di Luigi Polsini ‘Piccole Annotazioni sulla Musica Filosofale‘, edito da Stamperia del Valentino, ha sin dal titolo attratto la mia attenzione.

A dispetto delle dimensioni, si è rivelato un testo denso di informazioni preziose, sia musicali sia esoteriche, disposte con rigore logico ed esemplare chiarezza. In esso l’Autore passa in rassegna una gran messe di informazioni sia di teoria che di storia della musica, correlandole con spiegazioni sia di Fisica Naturale che di Metafisica.

Scorrendo infatti già soltanto l’indice si comprende l’ampiezza degli argomenti trattati: Il Suono e la Creazione, la Risonanza, il Terzo Suono, Suono e Segno, la Forma Sonata e la Tradizione, la Rosa+Croce e la Musica, Storie di Musiche Perdute e Ritrovate.

Il libro ha avuto ampia diffusione negli ambienti esoterici e musicali, e di seguito ne riportiamo una testimonianza in occasione di una presentazione per l’Accademia Nazionale dei Filaleti, a Perugia, circa un anno fa:

L’estrema competenza che mostra nel campo musicale gli deriva da una vita intera di studi ed esperienze: contrabbassista, si dedica successivamente alla viola da gamba divenendone un virtuoso, ed allargando il proprio interesse anche alle antiche viole medievali (‘vielle’) ed al liuto medievale.

Membro di numerosi Ensemble di musica antica, incide diversi CD soprattutto di musica del Medio Evo. Nel frattempo lavora come consulente musicale per la RAI, curando l’aspetto musicale di molti programmi radiofonici e televisivi, anche in veste di autore.

Tornando al libro, è stato scritto nel 2021 ma a causa della pandemia SARS COv-2 una presentazione prevista a Chieti nella rassegna ‘Musica e…’ è saltata. Si è però presentata l’opportunità di farla nei prossimi giorni, all’interno dei ‘Salotti Culturali Teatini’, iniziativa che coniuga presentazioni di libri con esecuzioni musicali, per la quale il libro di Luigi Polsini appare essere perfettamente indicato.

Ghiotta occasione dunque quella di Chieti per questa esplorazione musicale e metafisica, nella quale non mancano aspetti legati all’Alchimia (un esempio su tutti: le proporzioni) e si concluderà con l’esecuzione proprio di autori cui è cara Dama Alchimia (detta anche Arte di Musica), quali Athanasius Kicher, Michael Maier e John Farmer… e non solo.

Dialogheranno con Luigi due musicisti, Marco Giacintucci e Luca Dragani, che parteciperanno anche alle esecuzioni musicali, e passi scelti e significativi del libro saranno affidati alla lettura della giovane scrittrice Carmela Santulli.

Un caro saluto

Chemyst

Jean Laplace: una biografia

Esce in questi giorni un articolo di Luca Dragani sulla rivista Bérénice che ricostruisce, sulla base di scarse notizie sparse qui e là in alcuni libri, una biografia possibile di Jean Laplace.

La copertina della rivista ‘Bérénice’

Al di là della possibilità concreta – come onestamente indicato dall’autore – di poter integrare quanto scritto, l’importanza (sancita da una lusinghiera presentazione da parte del board nell’editoriale della rivista) è quella di poter disporre di una prima linea biografica, indagata su autentiche fonti e non (o non soltanto) su leggende o dicerie.

Un estratto dall’Editoriale della rivista Bérénice

È presentata come una “prima ricognizione”italiana, ed è senz’altro vero, ma non ci risulta ne esista ancora una in francese.

Un aspetto originale dello studio è stato il correlare alcune testimonianze scritte con fatti documentabili da fonti disparate, quali la data e il luogo delle sue Hermetiques Ballades, o piccoli segnali disseminati in alcune sue pubblicazioni, in particolare l’Index Canseliet.

Per il reperimento delle fonti l’autore ha attinto alla propria biblioteca, ma si è avvalso anche della preziosa collaborazione di un autore francese, Jean Artero, generosamente prodigo nel fornire copia delle proprie fonti dirette, oltre al poter consultare online il suo blog tenuto con Archer, unico sito web francese (dedicato a Julien Champagne) in cui è possibile reperire qualche informazione su Laplace.

La prima pagina, contenente l’abstract dell’articolo

Anche testimonianze di chi lo ha conosciuto hanno contribuito a definire meglio questo singolare Figlio di Ermete.

Naturalmente, mancano dei tasselli che rendono alcuni aspetti della vita di questo a suo modo straordinario alchimista misteriosi ed intriganti.

Il suo progressivo allontanarsi da “scenari“ affollati fino all’isolamento degli ultimi giorni, sul quale l’autore volutamente tace, rendono l’idea del fatto che Laplace abbia raggiunto un risultato, in termini alchemici, talmente avanzato da non poter essere condiviso neppure con gli amici ed i compagni di viaggio più stretti, come persino Paolo Lucarelli, il quale fu molto addolorato di non aver avuto più sue notizie, e costernato nell’ apprendere della sua prematura dipartita (fonte: Marwān).

Su quanto riportato (e anche su quanto non riportato) si potrà liberamente discorrere e anche – pacatamente – discutere, senza poter travalicare alcuni limiti che ci sono imposti dal rispetto della memoria di Jean Laplace.

Convinto che curiosamente ci osservi dal suo Locus Amoenus, mi auguro sia lieto del perpetuarsi in questa Manifestazione del suo ricordo.

Buona lettura, per chi vorrà.

Chemyst

Il Drago e la Principessa

Cari Cercatori,

sempre più di rado ci viene data la possibilità di parlare di Alchimia e di incontrare chi davvero la pratichi.

È questo il caso di Marwān, al secolo Fiorella Negro, autrice fra l’altro de ‘Il Drago e la Principessa’ per la casa editrice Jouvence.

Il libro è uscito nel 2022 ed è un volume di oltre 400 pagine, ricco di riferimenti pittorici e di note e didascalie, ognuno dei quali può essere ulteriore spunto di ricerca per i più curiosi (e gli alchimisti lo sono).

Di seguito la locandina diffusa online mediante la pagina Facebook ‘L’Arte del Fuoco’, che contiene, oltre ad informazioni su data e luogo, anche note bio-bibliografiche sull’Autrice.

La locandina dell’evento

Per chi volesse, uno sguardo autobiografico di Marwān sull’Arte è oggetto della precedente pubblicazione ‘L’Arte del Fuoco’ del 2019, sempre per Jouvence.

La lettura de ‘Il Drago e la Principessa’ è invece un’avventura caleidoscopica che coinvolge il lettore in un viaggio affascinante fra arte e simbolo, nel quale l’Autrice, con il riferimento tematico del titolo quale barra del timone, ci guida con metodo rigorosamente scientifico, poggiato su una solidissima e ricchissima bibliografia, attraverso pittura e arte in generale da cui estrae puntualmente insegnamenti preziosi che correla a passi dalla sterminata bibliografia alchemica, che evidentemente conosce e maneggia con disinvoltura.

Un passo dal capitolo La Saggezza del Serpente

Accanto a tanta ricchezza, frammisti ad essa, squarci improvvisi di amore per la Natura, con la quale Fiorella intrattiene da sempre un rapporto privilegiato e che ci narra con gioia infantile eppure con una profondità di sentimento che stupisce e che accende nel cuore del lettore quasi una nostalgia e un richiamo per quella dimensione trascendente e metafisica che è essenziale in Alchimia, che rimanda a quella ‘Forza forte di ogni forza’ che Dante c’insegna ‘move ‘l sol e l’altre stelle’, un misto di Amore incondizionato e di Abbandono.

Chi ne abbia la possibilità, non trascuri l’occasione: il 25 febbraio alle 17:30 a Bologna, Royal Hotel Carlton.

Chemyst

Il vero autore di un libro

Cari Cercatori,

nel proseguire le mie ricerche su Jacques de Senlecques figlio, linguista, musico, editore parigino del Seicento di diverse opere di carattere alchemico, mi sono imbattuto in alcune attribuzioni che mi sono parse discutibili.

La ricerca era partita, già diverso tempo fa, dal frontespizio del Traite de l’Eau de Vie di Jean Brouaut1, poiché conteneva immagini musicali e alchemiche insieme, frontespizio che aveva attratto già la considerazione di Eugène Canseliet in ‘Due Luoghi Alchemici2 :

Canseliet inoltre utilizzerà anche l’immagine dell’Escusson harmonique (anch’esso di grande interesse per le medesime ragioni del frontespizio) il quale, come spiega lo stesso Senlecque, rappresenta il suo personale marchio tipografico, alchemico e armonico. Egli lo riproduce in una versione colorata, in un altro libro, Trois traités alchimiques3 .

Jean Brouaut è stato un personaggio singolare e controverso, deceduto molti anni prima (1606) che Senlecque decidesse di pubblicare il suo manoscritto. Esso è stato acquisito nostro editore (arricchendolo con un proprio Avviso al lettore e una Spiegazione, dal precedente possessore, il collezionista ed erudito Balesdens.

Senlecque utilizzerà la medesima immagine di frontespizio per altre pubblicazioni a carattere alchemico, e fra queste anche per ‘Abrege de l’Astronomie inferieure‘, che reca come autore un tal Jean de Bonneau.

Jean de Bonneau in effetti potrebbe far pensare a un ‘nom de plume’ alchemico per via della facile ‘cabala fonetica’ ‘Bonne Eau’, letteralmente l’acqua buona. Ed è con questa firma che Jacques de Senlecque ha pubblicato l’Abrégé de l’astronomie inférieure des sept métaux: Harmonies des systemes de ces sept planètes ensemble des douze signes du zodiac & autres constellations du ciel des philosophes hermetiques, in due edizioni, nel 1645 e nel 16464

Orbene, basandosi su affinità stilistiche e di contenuto, ancora oggi la Biblioteca nazionale di Francia (BnF) ha stabilito che sotto lo pseudonimo di Jean de Bonneau si celi lo stesso Brouaut. Per tale ragione verosimilmente tale identificazione è riportata anche da Claude d’Ygé nella bibliografia del suo libro Nouvelle assemblèe des Philosophes Chymiques Apercus sur le Grand-Oeuvre des Alchimistes5

Secondo Suzanne Colnort6, tuttavia, che viene ripresa in questo parere anche da Francois Secret7, il misterioso I.D.B., firmatario di una delle lettere di approvazione del trattato di Brevotius e che Senlecque dichiara di stimare molto, è proprio Jean de Bonneau, autore dell’Abregè de l’Astronomie Inferieure

Le due ipotesi sono ovviamente in assoluto contrasto, in quanto sappiamo che Brouaut è morto in carcere nel 1604 a Carentan. D’altra parte lo stile di I.D.B., firmatario della lettera, ci appare più sintetico e anche più diretto di quello dell’autore del ‘Traitè de l’Eau-de Vie’ ed invero mostra una reale competenza in materia di alchimia. 

Inoltre, a favore di questa ipotesi (che riporterebbe I.D.B. ad essere un contemporaneo di Senlecque e non un autore morto prima della sua nascita) c’è il “Privilege du Roy“ a firma di Denisot con cui I.D.B. cede i diritti di pubblicazione del suo ‘Abrege‘ a Jacques de Senlecque: come si può leggere chiaramente nell’immagine, il consigliere del re Denisot identifica I.D.B. con Bonneau poiché letteralmente si riferisce a lui come  ‘dudit Bonneau’.

In qualche modo analogamente al Traitè di Brouaut, anche Jean de Bonneau tratta di temi astrologici che chiaramente, nel corso dello scritto, si riferiscono ad aspetti dell’Arte del fuoco, chiarendo così anche il senso del titolo.

Jean de Bonneau e Jean Brouaut saranno stati indubbiamente di due autori poco noti, ma con i loro scritti testimoniano la vivacità dell’ambiente alchemico francese del XVII secolo, vivacità alla quale anche il bravo Jacques de Senlecques II ha dato un pregevole contributo, come sottolineato dallo stesso Canseliet. Ci è parso pertanto utile chiarire e precisare le relative attribuzioni autoriali.

Chemyst

  1. Jean Brouaut, Traité de l’Eau de Vie, ou Anatomie théorique et pratique du vin, Paris, 1646, Jacques de Senlecques fils ↩︎
  2. Eugène Canseliet, Due Luoghi Alchemici, Roma, 1998 ?, Mediterranee ↩︎
  3. Eugène Canseliet, Trois ancien traités alchimiques, Parigi, 1975, Pauvert ↩︎
  4. Jean de Bonneau, Abrégé de l’astronomie inférieure des sept métaux: Harmonies des systemes de ces sept planètes ensemble des douze signes du zodiac & autres constellations du ciel des philosophes hermetiques, Paris, 1645 e 1646, Jean de Senlecque fils ↩︎
  5. Claude d’Ygé de Labatiniére, Nouvelle assemblèe des Philosophes Chymiques, Paris, 1954, Dervy-livres ↩︎
  6. Suzanne Colnort Un traité de thérapeutique au XVIe siècle: Brouaut et la panacée alcoolique. Revue d’histoire des sciences  12-4:1959, 301-313 ↩︎
  7. François Secret, Littérature et alchimie au XVIIIe siècle: L’Écusson harmonique de Jacques Sanlecque, Studi Francesi 47-48 (1972): 338-346 ↩︎

Haec Dies…

Cari Cercatori,

è Natale, da poco è trascorso il Solstizio d’Inverno, poco prima c’è stata Santa Lucia, a breve si ricorderà San Giovanni l’Evangelista.

Tante ricorrenze concentrate, attorno al Rinnovamento della Luce, fatto astronomico, sì, ma non solo. E’ un momento dell’anno particolare, è l’anno che si chiude (ai nostri tempi), è il momento in cui il Sole, Luminare simbolo principe della Divinità e motore della Vita, sembra anche lui fermarsi e riflettere.

E’ la fine di un ciclo, che coincide con l’inizio del successivo, nell’oscillante dualismo dei nostri tempi, fino alla loro fine, un Ouroboros che scandisce la nostra vita quotidiana e quella spirituale, è il momento buio come la terra profonda in cui germoglierà un seme di rinnovamento.

E’ il tempo della riflessione e dell’intuizione, lontano dai clamori deleteri dei commerci imposti dalla società del dio consumo, è quel tempo che Ungaretti, con saggezza preziosa, ci invita a cogliere, in modo discreto, nel suo più profondo senso etimologico:

Natale


Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

Non ci si deve fermare al fatto più evidente, ovvero un ritiro in solitudine, né associare tale solitudine ad un sentimento di tristezza. Il poeta anzi ci lascia due sensazioni in qualche modo confortevoli, un piacevole tepore che proviene da un camino acceso ed il diletto silenzioso del seguire, mentre egli medita o semplicemente lascia scorrere il fiume dei propri pensieri, le volute di fumo sprigionate dal fuoco.

D’altra parte le intuizioni, le perle preziose che illuminano, come una fiamma nel buio, la nostra mente distratta da mille fatue incombenze, avvengono in chi riesce ad astrarsi da un samsara ostinato, e una stanza buia, magari illuminata da un fuoco tenue, ne favoriscono il sorgere.

Ancora. è nel fuoco che si rinnova la Fenice, quella delle Cantilenae di Maier, avvampando e riducendosi in ceneri feconde che la rigenereranno. Ed è nei cicli, lenti o più veloci, dei processi di Laboratorio, che cogliamo spesso affinità fra loro, affinità che vanno colte superando i tecnicismi pur necessari alla corretta disposizione delle materie in gioco, siano esse minerali, filosofiche o spirituali.

Ma è anche il momento della Stella, alla cui ricerca si sono devoti i Magi, dal lontano Oriente fino alla notte buia dell’antro ‘in cui luce non era mai stata‘. Eppure, quella notte la luce della Stella rischiarava l’aria più dello stesso Sole.

La Stella, segnale importante per chi cammina sui passi della Dama, che ricorre a conferma e conforto dell’Alchimista, Mago egli stesso.

E’ con maestria estrema che Clemens non Papa rende l’atmosfera mistica di una Cerca, secondo me non solo dei tre Magi, ma anche di ognuno di noi. D’altra parte in più di un’occasione abbiamo rilevato come Clemens, pur non essendo fra coloro che Rabelais indica fra i musici illuminati (solo per questioni ‘geografiche’, non essendo uno degli autori stampati da Attaingnant o Moderne) spesso lascia traspirare piccoli segnali, come nella sua ‘Pere eternelle’ (qui ).

D’altronde anche brani più antichi, del repertorio medievale, come l’anonima ‘Personent hodie‘ utilizzano una modalità similare, e forniscono immagini testuali che costituiscono, per il Cercatore accorto, possibili indicazioni operative:

Nella versione pur modernizzata dalle splendide voci di queste ‘puellae cantrices‘ del canto reso noto dall’esser raccolto nelle ‘Piae Cantiones’, infatti, il ‘rector supernorum‘ nasce nella stalla delle bestie avvolto in stracci, e nel contempo perde le proprie spoglie il ‘principe degli inferni’: uno dei nomi con il quale si indica per metonimia il luogo della dannazione eterna dovrebbe risultare evidente a chi predispone – in questi giorni e nei prossimi – un componente essenziale.

Ancora si potrebbero trovare spunti utili in queste due composizioni, soltanto porgendo attenzione a termini ed etimi, ma preferiamo fermarci qui, per restare anche noi, per pochi giorni, fermi come il Sol Invictus, per raccoglierci in noi stessi e ricominciare il Cammino.

Verso Compostella.

Buon Natale a tutti.

Chemyst

Carol of the Bells

Natale, tempo di Carole: termine molto generico, di antico lignaggio (risale al Medio Evo), molto usato nella comune accezione con il senso di ‘canto di Natale’…

Fra le molte, bellissime che la tradizione, soprattutto anglosassone, ci ha consegnato, mi ha sempre colpito ‘Carol of the bells’ per il contrasto assordante fra le parole di gioia e la musica, bellissima certo, ma con un che di concitato ed in tonalità minore.

eccovi una versione splendida dei Pentatonix, che fedelmente conserva i caratteri appena citati:

Nel video c’è il testo inglese, qui di seguito una sua traduzione:

Ascolta come suonano le campane
Dolci campane d’argento
Tutte sembrano dire
Butta via le preoccupazioni
Il Natale è qui
Portando buon umore
A grandi e piccini
a miti e audaci
Din-don, din-don
Questa è la canzone
Con tintinnio gioioso
Tutti i canti natalizi (Oh, oh, ah)
Sembra di sentire
Parole di buon umore
Da ogni parte (da ogni parte)
Riempiendo l’aria
Oh, come martellano
Alzando il loro suono
Su monti e valli
Raccontano la loro storia
Suonano allegramente
Mentre la gente canta canzoni di buon umore
Il Natale è qui
Buon Natale
Felicissimo Natale
Continuando a inviare
Senza fine
Il loro tono gioioso
In ogni casa
Ah ah ah
Din-don, din-don
Din-don, din-don
Ascolta come suonano le campane
Dolci campane d’argento
Tutte sembrano dire
Butta via le preoccupazioni
Il Natale è qui
Portando buon umore
A grandi e piccini
A miti e audaci
Oh come martellano
Alzando il loro suono
Su monti e valli
Raccontando la loro storia
Suonando allegramente
Mentre la gente canta canzoni di buon umore
Il Natale è qui
Buon, Buon, Buon, Buon Natale
Buon, Buon, Buon, Buon Natale
Continuano a inviare
Senza fine
Il loro tono gioioso
In ogni casa


​… per il contrasto stridente fra testo e melodia, non sembra anche a voi di immaginarla cantata dal Grinch? Chi è? Ve lo racconto:

Il Grinch è raffigurato come una creatura pelosa, panciuta, a forma di pera, con braccia e gambe lunghe e magre, dalle pupille rosse e bulbi oculari gialli e con un viso da gatto, con una personalità cinica. Ha trascorso gli ultimi 53 anni vivendo in isolamento nella caverna di una montagna, il Monte Crumpit (Monte Briciolaio nel film girato con attori veri), con vista sulla città dei Chinonso (Whoville nell’originale inglese).

In contrasto con gli allegri Chi, il Grinch è misantropo, scontroso, solitario e irascibile, con un cuore che è “di due taglie troppo piccolo” (l’unica eccezione a questo è alla fine del racconto, dove diventa “di tre taglie più grande”). In particolare odia il periodo natalizio, prendendo nota in particolare di quanto siano odiosi per lui i vari rumori di questa stagione, incluso il canto dei cori. Non riuscendo più a sopportare questa festa, decide di distruggerla una volta per tutte.

Aiutato dal suo cane Max, il Grinch si traveste da Babbo Natale e, durante la notte della Vigilia, irrompe nelle case dei Chi per rubare le decorazioni e tutti i regali e portarli sulla montagna per buttarli come fossero spazzatura. Anche se riesce a compiere il furto con successo, è scioccato nel sentire i Chi che cantano ancora allegramente, felici semplicemente di avere l’un l’altro. Si rende quindi conto che la festa ha un significato più profondo che non ha mai considerato. Ispirato, impedisce alle cose dei Chi di cadere dal bordo della montagna e nel frattempo il suo cuore cresce di tre dimensioni. Restituisce tutti i doni che ha rubato e partecipa volentieri alla celebrazione del Natale dei Chi.

L’elemento che forse può guidarci e darci qualche risposta è la campana. Con più rigore in Germania, ma anche in Italia, è praticata una vera e propria scienza delle campane, detta campanologia, che studia le campane dal punto di vista acustico, fisico e anche costruttivo. Dal sito dell’Associazione Italiana di Campanologia (qui) desumiamo informazioni preziose sul suono delle campane.

Nella figura sono indicate le zone di origine dei principali toni parziali: principali, poiché una campana ne genera in media circa 56; inoltre sono chiamati toni parziali e non armonici perché non sono generati a partire da una sola nota fondamentale ma da più fonti sonore contemporanee.

Il suono di una campana è, come per tutti i suoni, composto da un transitorio d’attacco, da un regime stazionario e da un transitorio di estinzione o di risonanza decrescente. Quando il battacchio colpisce la campana suscita un suono complesso del quale il nostro orecchio riconosce la frequenza detta ‘prima’ e che identifica il tono della campana, seguito da un regime stazionario pressoché inesistente (laddove negli strumenti musicali è questa la fase che ne caratterizza il timbro) e poi da una lunga risonanza decrescente in cui possiamo percepire una quinta, un’ottava superiore e una inferiore ed infine una terza. Minore, però: almeno fino al XX secoli nessuno è riuscito a far generare una terza maggiore a una campana.

Questo aspetto è quello che associa al suono delle campane, per quanto festoso soprattutto quando costruttori intelligenti combinano un concerto di campane gradevole e rapido, un che di malinconico: quel suono di unica campana di chiesa di campagna che annuncia il vespro, ad esempio, e che noi percepiamo in distanza come di una sola nota (la ‘prima’) ma che in realtà porta con sé un accordo minore.

Già, minore. Come in ‘Carol of the Bell’. I conti iniziano a tornare.

Giovanni Pascoli coglie per noi il senso di questo suono, nella splendida ‘Campane a sera‘:

Forse per la giornata uggiosa con una pioggia interminabile, mi torna in mente la prima prefazione alle Dimore Filosofali di Fulcanelli, scritta da Eugène Canseliet, laddove parla della quarta campana il cui suono evoca la fine del mondo, facendo riferimento a questa immagine:

Riprendiamone tutto il passo: “Dallo stesso punto di vista che abbiamo esposto sopra, non abbiamo dubbi che il Maestro avesse classificato, nelle sue dimore filosofali, uno dei magnifici capitelli provenienti dalla basilica romanica di Cluny, in Saône-et-Loire, di cui l’Abbazia celebre, comprendente la biblioteca costituita dai più preziosi volumi manoscritti, in gran parte saccheggiata e devastata dai calvinisti nel 1562, fu totalmente distrutta, nel primo anno della Repubblica, dalla soldatesca rivoluzionaria. In questa scultura… riconosciamo l’araldo della quarta età, prossima al termine, del ciclo che si sta chiudendo. Si tratta di un giovane che indossa una lunga tunica e che porta sulla spalla un bastone con alle estremità un campanello. Un terzo, senza batacchio, è trattenuto, mediante una sorta di cinghia, sull’avambraccio sinistro del nostro impiegato. Senza dubbio, nella mano destra stringeva un martello, con l’unico scopo di suonare la più terribile campana a morto, in quell’ufficio che lo sottopone a durissime contorsioni.
La ciclica campana a morto che annuncia l’abominio della desolazione ai popoli, numerosi e gregari, che vivranno gli ultimi fasti dell’età del Ferro.
Ma, si obietterà, cosa c’è di sorprendente, se non, senza di più, “il tintinnabulum” che fu caro al Medioevo romanico e che ritroviamo, similmente rappresentato, su due capitelli non meno mirabili; uno, a Vézelay, nella chiesa della Madeleine, l’altro, ad Autun, nella cattedrale Saint-Lazare?

C’è infatti che il personaggio, figurato in altorilievo, entro una mandorla, trae tutto il suo significato ermetico, dall’esergo latino che è inciso incavato sul bordo piatto dell’ellisse e che racconta, molto chiaramente, la gesticolazione dell’araldo apocalittico, al futuro fatale della pluralità degli uomini:

SUPLEDIT QVARTVS SIMVLANS IN CARMINE PLANCTUS.

Egli sferra, riproducendo, in obbedienza alla profezia, il quarto colpo”.

Non sfugge all’osservatore che il secondo portatore di campane, del tutto affine al precedente, riprodotto a Autun, abbia però un ruolo passivo in quanto in questo caso altri DUE personaggi colpiscono con i loro martelli le campane. Del capitello di Vezelay non ho potuto reperire l’immagine.

Ma arriviamo alla scritta incisa nell’amigdala che contiene il nostro portatore/suonatore di campane: “SUPLEDIT QUARTUS SIMULANS IN CARMINE PLANCTUS”. Abbiamo visto che Canseliet traduce: “In obbedienza alla profezia, batte, riproducendolo, il quarto colpo”. Come molto spesso accade in Canseliet (che peraltro in nota in questo caso giustifica in parte le scelte di traduzione) questa versione non è letterale. Come accade ancora più spesso, i termini usati in questo basso Latino hanno significati molteplici: ad esempio ‘planctus‘ è al tempo stesso ‘colpo’ e ‘lamento’ (ci si batteva il petto, nei funerali…), ma anche, proprio nel periodo dei capitelli (XI secolo) il nome di composizioni musicali monodiche di compianto. La forma musicale è anche più antica, come in questo esempio (in cui c’è anche un glockenspiel, o tintinnabulum, per restare in tema):

Canseliet inoltre traduce ‘simulans in carmine‘ con ‘riproducendo come nella profezia’. Indubbiamente una traduzione corretta, ed esteticamente adeguata alle abilità di latinista del compianto Maestro. Prima però di analizzare ‘simulans’, vorrei soffermarmi sulla parola ‘carmen’ che ha radice comune – incidentalmente – con ‘carol’ e ‘carola’ ed il cui primo significato è ‘canto’, ‘melodia’ (in italiano, per quanto desueto, esiste il termine ‘carme’), e via via ‘poesia’ e ‘incantesimo’ (da in e cantus). D’altronde, se in molte tradizioni (norrene, o nel Popol Vuh, fino al ‘contemporaneo’ Tolkien) il mondo è creato con il canto, allo stesso modo esso potrebbe essere terminato, con un possente ‘Dies Irae’ come quelli di Mozart o di Verdi o anche, fatte salve le differenze di linguaggio musicale, del nostro amato Ockeghem, o più melanconico come il gregoriano:

Il testo del Dies irae è zeppo di suggestioni alchemiche che non sfuggono all’operatore anche all’inizio del cammino: chissà se Canseliet volesse condurci proprio lì? Ci torneremo, in parte. Per quanto riguarda ‘simulans’ tradurremmo letteralmente ‘simulando’: d’altronde ogni atto magico è una simulazione, un’imitazione di un rituale già scritto, e in Alchimia, ancor di più che in magia, la ripetizione, la reiterazione sono atti fondamentali; e l’Alchimista è ‘Simia Dei’ (e le scimmie forse si chiamano così per la loro attitudine imitativa).

Ma per la creazione alchemica si passa per un atto, almeno apparentemente, distruttivo: l’Alchimista stesso ‘solvet seclum in favillam‘ per avere un corpo nuovo, differente: la Fenice che rinasce dalle proprie ceneri non è la stessa che è bruciata via, ma il ‘figlio più bello del padre‘.

E pur sempre di un Figlio si tratta, un Figlio di Dio… ricordate Lucarelli alla Sorbona? Un figlio che ciclicamente, a ogni fine d’anno, rinasce quando il buio è più fitto (il paragrafo di Canseliet precedente a quello che abbiamo analizzato ne parla).

Elémire Zolla ci ricorda che “Fra le cose si sta come tra suoni di campana in una foresta di notte, dice Paracelso, e se la loro causa ci resta sconosciuta è perché non camminiamo nella luce“.

Infine, costanti riferimenti al suono e alla musica ci fanno ritenere che debba in qualche modo entrare in gioco una vibrazione, una risonanza…

Ascoltiamo dunque il suono delle campane: è malinconico, ma contiene un messaggio antico di speranza, velato sotto un annuncio ferale.

Auguri per un Avvento sereno

Chemyst

Ingenui e veritieri arpeggi di ottava

Cari Amici,

nell’attesa di sistematizzare la mole dei dati che andiamo raccogliendo per correlare musica, colori e processi della nostra amata Arte, torniamo un attimo indietro a dati già noti, da rivedere con occhi più stanchi ma non per questo più ciechi.

Torniamo infatti alle “Vérités” e alle “Ingénuites Hermetiques”, testi del 1801-1802, disponibili online qui, di cui troviamo degli estratti in: Anonimo, Récréations Hermétiques, 2011, Lulu, a cura di Captain Nemo.

All’epoca – tempi molto diversi – il curatore mi sottopose le due immagini “musicali“ e mi chiese una loro analisi: essa è così riportata fedelmente nel suo testo, a pagina 183-184: “si tratta di un frammento musicale in chiave di violino, senza indicazioni di tempo (che dovrebbe essere indicato dopo la chiave) e senza alterazioni in chiave, ovvero i diesis ed i bemolle che ne determinano la tonalità, quella di Do maggiore o della sua relativa La minore. Per quanto riguarda il tempo, tuttavia, le note hanno un loro valore mensurale relativo, tutte di 4/4 (semibrevi) tranne una che, come vedremo, potrebbe essere interpretata come un abbellimento detto appoggiatura e che è indicato con una semiminima, ovvero 1/4.

Il frammento ha anche una sorta di segno di chiusura che compare in qualche copia di partiture antiche, per esempio, della seconda metà del Settecento.

Per ciò che riguarda le note, figurano come una sequenza per grado disgiunto (ovvero note non contigue sulla scala) e quindi una sequenza di intervalli cosiddetti “armonici“ (in contrapposizione a quelli melodici, relativi alle nove che si susseguono invece per grado congiunto).ciò è tanto più vero in quanto le note “principali“ (cioè escludendo l’appoggiatura) realizzano un lento arpeggio dell’accordo di do maggiore, che si può chiamare anche “accordo perfetto“ di do Maggiore. Questo secondo modo, più elegante e formale ma oggi meno utilizzato, e del resto è indicato dal testo francese presente sulla copertina, tramite il segno di “richiamo“ è posto al di sopra del pentagramma.

Quanto all’arpeggio, è composto dalle note in sequenza ascendente: Do – Mi – Sol – (Si) do, seguite dalle stesse note in sequenza discendente do – Sol – Mi – Do. Vi sono inoltre ulteriori segni di significato musicale, ma nel primo frammento appaiono a colpo d’occhio “sbagliati“, o meglio, invertiti; c’è una corona, o punto coronato, che si utilizza per prolungare il valore di una nota “ad libitum“, o ad almeno il doppio del suo valore nominale. Il segno successivo sembra una legatura. In realtà, in questo caso, sono molto simili graficamente, e se il punto della corona fosse messo sotto la successiva legatura le cose andrebbero a posto: è così, infatti, che sono disposti tali segni nel secondo frammento, musicalmente identico al primo.

Quanto al testo, quello del primo frammento è cantabile secondo quanto indicato, mentre il secondo appare troppo lungo.

Un’ultima considerazione: non credo che si tratti dell’errore casuale di qualcuno che copia uno spartito non sapendo nulla di musica. La grafia musicale è pulita, sicura, tipica di chi scrive musica correntemente.

L’errore presente nel primo frammento è quindi apparentemente inspiegabile, a meno che, per ragioni sicuramente non musicali, sia voluto. Ma non sarebbe certo la prima volta ad accadere, in alchimia: si veda per esempio l’Atalanta Fugiens di M. Maier del 1617, che contiene numerosi esempi di singolari “errori“. Questi errori, del resto, appaiono tali soltanto a chi conosca l’arte musicale e come interpretarla, suonando la partitura“.

All’epoca l’interesse era quello di chi sperava, attraverso la sola analisi musicale, di individuare “segreti” che potessero ridurre i velami distesi sui testi ermetici. Oggi forse possiamo guardare anche ai dettagli che circondano il rigo musicale con l’arpeggio di do Maggiore, per esempio possiamo analizzare meglio i due testi, apparentemente disposti sotto le note come fosse un canto.

Bene, per esempio, nel frontespizio delle “Ingénuites“ esso recita “Je prend mon bien ou je le trouve” ed esso si adatta, come già scritto, piuttosto bene alla musica. Poi ci sono la data ed il luogo di scrittura: “Paris, Messidor An Neuf ou an 1801”. La data afferisce al calendario della rivoluzione francese, in vigore fino al 1805 e Messidor va dal 19 giugno al 18 luglio; l’anno numero nove corrisponde al 1801.

La firma è: “Moi, un homme”, in italiano “Io, un uomo“.

All’inizio del pentagramma c’è il segno di richiamo, spesso usato come segnale di richiamo soprattutto quando il brano (ad esempio, un’aria) prevede un “da capo“. Qui – apparentemente – è un segno di rimando a quanto scritto (con lo stesso simbolo all’inizio) a fondo pagina: “Accordo perfetto degli uomini, e della quintessenza – filo d’Arianna, o concordanza dei detti dei filosofi“.

Un po’ più complicata, a dispetto della più corretta scrittura musicale, risulta la disposizione del testo nel frontespizio delle Vérités: la musica si presenta così

e se la si volesse cantare, con tutte le parole sarebbe possibile farlo così:

L’apparenza è un po’ forzata, le sillabe sovrabbondano rispetto alle note. Ci torneremo.

Il testo dice: “Io che sono un grano di polvere del Paradiso“. Già, il grano: usato nel comune linguaggio con il senso di una quantità minima di qualsiasi cosa, anche astratta, ha anche un significato ‘metrico’ ben preciso: c’informa Treccani.it infatti che esso è anche “Unità di misura (corrispondente in teoria alla massa media di un chicco di frumento) in uso nei paesi anglosassoni, con il nome di grain (v.), e di valore variabile: per es., per l’oro e in farmacia equivale a g 0,0648. G. metrico, unità di massa usata per le pietre preziose e per le perle, equivalente a un quarto di carato metrico e a un ventesimo di grammo“. Dunque il ‘quarto di grano‘ utilizzato da Van Helmont per la trasmutazione equivale a circa 1,25 g. Di ‘grano fisso‘ inoltre ci parla Canseliet in più occasioni, ed il termine ricorre in molte opere alchemiche.

Attorno alla musica, troviamo scritte, analogamente a quanto abbiamo visto nelle Ingènuites: dopo il consueto segno di rimando la frase recita: ‘accord de la Nature et de l’art. Mèdecine universelle. Théorie pratique du grand oeuvre’ , Che possiamo tradurre facilmente con: “accordo della Natura e dell’arte. Medicina universale. Teoria pratica della grande opera“.

Si tratta della pietra realizzata, o comunque del risultato della sintonia raggiunta dall’arte con la natura, la finale comprensione della teoria applicata alla realizzazione della grande opera. Ricorre il termine ‘Accordo‘.

Dalla data (“Germinal” ovvero Capodanno del 10º anno o 1802), comprendiamo che questo è un passo successivo, corretto, conseguente all’assunto teorico precedente, dove “un homme“ aveva individuato un percorso (il filo d’Arianna) che concordava con quanto detto dai filosofi. In effetti, l’ottava è già raggiunta dall’arpeggio delle Ingènuites, ma la Vérité è raggiunta solo in questa fase. La data (Capodanno) mostra uno svincolamento dai periodi ‘canonici’, come d’altra parte la piena estate del Messidor delle Ingénuites.

La sovrabbondanza di sillabe? Azzardo possa trattarsi di un aspetto concreto, del risultato, del frutto delle operazioni, non più inquadrabile nel pur perfetto accordo, poiché nuova materia è creata, perché una chiave ha finalmente girato nella serratura e aperto dal Soprannaturale una porta dalla quale Spirito si corporifica, aumentando di massa.

Corro troppo? Forse, ma la musica, l’armonia, mettono ali alla mente e schiudono orizzonti. In fondo, bisogna “Oser“se si vuole guardare “oltre il velo“. Se l’Autore, questo ‘un homme’ anonimo, ha voluto mettere in così bella evidenza tanta musica, evidentemente vuole mostrarla come una chiave di lettura. Forse anche di più, in termini operativi. Sono oltretutto convinto che questi due intriganti frontespizi possano, a successive riletture, rivelare ad occhi più attenti molto di più.

Serena fine estate a tutti.

Chemyst

Divagazioni sparse d’estate

Cari Cercatori, Sognatori & Appassionati,

sarà il caldo? L’ultima volta che ho usato questa espressione era un pretesto per un’analisi un po’ visionaria dello Scherzo di Monteverdi ‘Damigella tutta bella‘ dal Libro X. Che poi, forse, apprendendo quanto addentro fosse il più autorevole compositore del Seicento nella materia alchemica, tanto visionario non era.

Stavolta no, e forse anche la risposta alla domanda è la medesima: no. Perdonatemi, sarò vago volutamente, e chiedo scusa a coloro che stanno seguendo con interesse i piccoli sentieri che ho trovato giocando con luci e suoni, e prometto che – passato il caldo – ci torneremo, assieme.

La risposta dunque è no perché il ‘problema‘ non è contingente, ma viene da lontano, fossi in ospedale direi che è ‘cronico’. Si è anche accentuato a causa di quanti – chi più, chi meno – sono risultati colpiti o danneggiati dalla pandemia da Coronavirus II o, come tecnicamente si chiama, SARS COV2, più ‘popolarmente chiamato Covid 19. Con la voglia di dimenticare le sofferenze, le perdite dei propri cari, ma anche le ‘insofferenze’ a misure di salute pubblica, si sono infatti generati mostri (chi diceva ‘Il sonno della ragione genera mostri’?, ah sì, Goya) immaginari quali scienziati pazzi al soldo di gruppi segreti allo scopo di imporre nuovi ordini mondiali… Se prima c’era comunque chi cercava colpe in ‘circoli occulti’ o in immaginifiche sedi di potere, dopo la pandemia sono cresciuti in misura esponenziale, esattamente come fanno le infezioni virali.

Peccato per il risultato finale (il Nuovo Ordine Mondiale o baggianate similari), mi verrebbe da dire, visto che un po’ matti lo siamo anche noi, con i nostri sogni benedetti di guarire il mondo o la materia con poche, semplici operazioni che conduciamo in segreto. Per fortuna ognuno per proprio conto, quindi non ‘al servizio di‘ chicchessia. E i piccoli segreti che in laboratorio Natura elargisce (ai meritevoli? ai costanti? ai benvoluti?) si proteggono da soli, perché raccontarli a chi non è arrivato fin lì è come parlare a un sordo, oppure a uno straniero. Né esistono chiavi (tantomeno conclavi) che possano imporre di divulgarli, men che meno utilizzarli a scopi che – per fortuna – non riesco neppure a concepire.

Certo, anch’io sarei riservato se sapessi allestire una bomba H sul fornello di casa“, si legge – cito a memoria – ne ‘Il Mattino dei Maghi’ che tutti abbiamo in biblioteca. Aggiungerei che neppure ci interessa costruire una bomba H… può certo capitare di far esplodere un crogiolo, , di solito avviene per contaminazione in alcune operazioni preliminari, ma altrettanto spesso l’incidente (spettacolare? spaventoso?) resta confinato all’interno del proprio forno. Un po’ di accortezza, e non si ripeterà… non dovrebbe. In fondo, l’Alchimista resta un uomo, a meno di trasformazioni profonde in prossimità del ‘Donum Dei’, quindi pur sempre capace di sbagliare, di non vedere, di… soffrire il caldo. Non è difficile accorgersene, leggendo cosa scrive in pomeriggi assolati o in notti insonni per i più disparati ( e umani) motivi. In Laboratorio si è sempre soli, e quando c’è qualcuno, di solito (si te Fata vocant) è un benevolo angelo custode.

“Terribilis est locus iste!”… ma qualche musico accorto del passato professa un più mite “Vere locus iste sanctus est“.

Buen Camino, a tutti, ma proprio a tutti.

Chemyst