Venerdì Santo

Dei riti della settimana Santa, quelli legati al Venerdì Santo sono ovunque particolarmente suggestivi. Per la loro celebrazione sono nate, in passato, Confraternite religiose il cui nome includeva sempre il termine “morte“, il colore delle divise era (ed è) il nero, ed il teschio bene o male ricorreva all’ingresso delle loro cappelle, sempre ad accesso riservato ai membri o comunque molto limitato.

Il venerdì, secondo gli evangelisti sinottici, era il giorno in cui fu crocifisso Gesù, ed è da molti, e per molti aspetti, considerato il giorno più buio della Cristianità, quando il popolo eletto uccide il proprio Dio sulla croce.

Esistono peraltro, in questa narrazione, molte valenze simboliche che risultano familiari all’alchimista, e tante similitudini fra esse e molte operazioni di laboratorio. Il repertorio musicale di questo “tempo forte“ della Liturgia è ricchissimo: dalle mie parti il testo più rappresentato è il “Miserere“ (Salmo 50), che associa alla morte di Cristo la preghiera di perdono per quello che forse è stato il delitto più grande dell’umanità.

Fra i più drammatici ed evocativi c’è anche il “Tenebrae factae sunt“, le cui più felici realizzazioni fanno capo a Toma Luìs da Victoria, ma che hai spirato molti grandi, Gesualdo da Venosa fra gli altri, ma anche Marco Antonio Ingegneri, Giovanni Croce, Orlando di Lasso.

La resa musicale di da Victoria è intensa, d’altronde il testo è molto suggestivo:

Tenebrae factae sunt,

dum crucifixissent Iesum Iudaei:

et circa horam nonam

exclamavit Iesus voce magna:

“Deus meus, ut quid me dereliquisti?”

Et inclinato capite,

emisit spiritum.

Exclamans Iesus voce magna,

ait: “Pater,

in manus tuas commendo spiritum meum”.

Et, inclinato capite,

emisit spiritum.

Alternato al già citato Miserere, c’è poi “Asperges me Domine“, (qui in una dolcissima versione di Loyset Compére) in cui si “usa“ l’issopo a scopo purificatorio, e che ha un ulteriore legame con la Pasqua in riferimento alla strage dei primogeniti egizi, quando l’angelo della morte “passò oltre“ (possibile origine del termine Pasqua) le case segnate con il sangue dell’agnello su montanti ed architrave delle porte, mediante la sua immersione nel sangue degli Agnelli uccisi ed usato come una sorta di pennello. L’issopo era generalmente usato in tutte le cerimonie di purificazione.

A proposito dell’Agnello, altro importante simbolo alchemico e pasquale, esso è in qualche modo legato alla data mobile della Pasqua: quest’ultima è fissata nella prima domenica successiva al primo plenilunio dopo l’Equinozio di Primavera. E l’Equinozio di Primavera è intorno al 21 marzo, quando il Sole entra in Ariete, il quale può essere considerato come il Padre dell’Agnello. Molte dunque sono le interconnessioni fra alchimia, astronomia e lo stesso simbolismo religioso…

Dunque in questa cupa atmosfera domina il colore nero, il colore della putrefazione in alchimia, passaggio obbligato per ogni trasformazione, per ogni tappa del procedimento. E’ lì che agisce il Fuoco Segreto, quello stesso che proprio Gesù è venuto a portare nella terra (Canseliet). Ma l’issopo, simbolo anche di umiltà, produce un effetto sorprendente: recita infatti il primo versetto:

Mi aspergerai con l’issopo, e sarò mondato;

mi laverai e sarò più bianco della neve (letteralmente: “e sarò sbiancato oltre la neve“).

Si passa dunque dal nero della morte e della putrefazione al bianco bianchissimo che ritroviamo attributo del Mercurio Filosofico, in ogni caso è la Luce che si libera delle tenebre…, più chiara.

Chissà, su come farlo ancora una volta troviamo soccorso nei simboli della morte: il suo “caput mortuum“, la “testa morta“ che ritroviamo sulle porte delle Confraternite e che, all’apice del dramma sacro della Crocifissione (dell’Agnello di Dio sulla Croce abbiamo già parlato qui) quando Gesù “inclinato capite, emisit spiritum”.

Forse è proprio così che dobbiamo cercare.

Chemyst

Tradizione e Segreto

Cari Cercatori e carissimi Neofiti,

questo post nasce da una discussione (forse è meglio dire da una serie di discussioni) su un social network a proposito dei temi più “misteriosi” dell’arte sacra, ovvero materia prima e fuoco segreto. Resta inteso che, per tradizione appunto, non nominerò la prima, mentre per il secondo non dirò nulla poiché le mie convinzioni conoscenze al riguardo non mi consentono di parlarne in termini di certezza. “Allora non c’è nulla da dire?” mi chiederete. Invece no, c’è molto da dire anche così: in tutti i classici dell’ermetismo si parla di materia prima e fuoco segreto senza mai fornire “ricette“: poiché in confronto ai veri maestri io sono molto meno, il massimo che riuscirò a fare sarà… un post!

È noto che la mia Cerca alchemica si svolge nel milieu di Fulcanelli, Canseliet, Lucarelli: quest’ultimo, nella sua opera magistrale di commento al Mistero delle Cattedrali, indica grosso modo il procedimento per ottenere la materia prima. Qui, per qualcuno, sta la prima sorpresa. La materia prima va preparata, va ottenuta, non esiste “in natura” o, men che meno, in negozio. Lucarelli comunque, pur spingendo la sincerità a livelli mai visti prima, non nomina “ingredienti“. Il passo è celebre, a pagina 79 della seconda edizione di Mediterranee, in un periodo che inizia così: “Da una reazione iniziale di misti imperfetti…“. Non dice assolutamente quali. Nessuno lo fa: qualcosa, certamente, è trapelato, in epoca digitale, da qualche ambiente soprattutto francese: gira in rete uno schema, di Atorene, il quale, temo, se ne è assunto le conseguenze.

È più utile, però, a mio avviso, ragionare sui termini. E questo è un principio basilare per lo studio dei testi: ne consegue che chi voglia farlo dovrà dotarsi degli strumenti di analisi necessari. Per quanto possa essere considerato un atteggiamento un po’ snobistico, ritengo necessario (se non indispensabile) avere una buona conoscenza del latino ed è utile anche quella del greco, per poter controllare dalle fonti sia il testo originario sia le citazioni. Io stesso ho dovuto mettermi a studiare il francese, data la numerosità dei testi scritti in questa lingua. È del tutto evidente che conoscere il latino metta al sicuro da certe risibili traduzioni dell’acrostico V.I.T.R.I.O.L., ad esempio, ma anche da certe letture “spiritualistiche” o di “alchimia interna” della lettera di Pontano.

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Misti imperfetti“: ricordo che la prima cosa che appuntai sul mio quaderno fu: “sono più di uno“. Dunque la materia prima è il prodotto di un processo (anche) chimico, cui partecipano più sostanze. Queste Lucarelli le definisce “misti”: chiesi allora: “Sono sali? Solfuri?” Mi fu risposto di non pensare in termini chimici, ma di principi alchemici, ovvero ogni sostanza, meglio ogni corpo è composto da un mix di Solfo e Mercurio. Quando questa proporzione non è perfetta (oro) si parla dunque di misti imperfetti. Tuttavia, Non mi tolgo dalla testa che con il termine “misto” Lucarelli abbia voluto sottolineare un aspetto più sottile, nonché fondamentale, per la riuscita di un procedimento che sta all’inizio delle operazioni per questo motivo dette “filosofiche“, per una facile cabala fonetica.

Criticare peraltro la riservatezza di chi segue una certa linea di comportamento (derivato da un impegno condiviso con i compagni più esperti) è direi inutile, in più inopportuno: sembra invece a chi scrive che tali critiche siano solo frutto di irritazione di chi non ha ricevuto “da bocca ad orecchio” un impianto di ricerca (mai un recipe!) sul quale lavorare negli anni per capire dove indirizzare i propri sforzi. Utilizzare poi quale pretesto di esclusione dall’indirizzo di neofiti tutti i testi legati a questo filone (parliamo di testi quali il Mistero delle Cattedrali, le Dimore Filosofali, L’Alchimia spiegata sui suoi testi classici, Alchimia simbolismo ermetico e pratica filosofale, Due luoghi alchemici, e via via “per li rami” tutta la produzione francese di Bernard Chauviere, Severin Batfroi, Jean Laplace per citarne solo alcuni, e tutta quella italiana) mi sembra rientrare in una sorta di voluta “damnatio memoriae“. Ma allora, se utilizzassimo un tale criterio con logica, dovremmo escludere anche i grandi classici citati al loro interno, quali quelli di Nicolas Flamel, Valois, Limojon de Sainct-Disdier, Basilio Valentino, Filalete… In pratica tutta la storia dei trattati di alchimia, ripresi e commentati nel dettaglio degli autori di scuola di Fulcanelli.

Certo, il punto di vista di chi ha, dal 2008, sposato l’idea di Fulcanelli ed epigoni può essere criticato come “di parte“. Lo riconosco. Mi permetto però di criticare a mia volta chi non utilizza le fonti dirette, ma soltanto traduzioni che gli appaiono convenienti (su che base? perché “sembrano” dire cose che fanno comodo?) perché non ha le conoscenze culturali che prima abbiamo indicato come necessarie.

Non voglio dire che sia indispensabile un cursus studiorum letterario, più magari anche una laurea in Fisica… Non è questo che si richiede. Sono altresì convinto che nell’approccio culturale e metodologico di chi si applica a questa Scienza sia necessaria una cultura ad ampio raggio che includa scienze umane, tecnologiche, linguistiche e che, in mancanza di alcune di esse, per quanto difficoltoso, il ricercatore obbligatoriamente debba integrarle per quanto gli sia possibile.

Questo – mi rendo conto – pare in contrasto anche con certe frange nel mio stesso milieu che affermano che lo studio abbia importanza inferiore alla pratica di laboratorio: direi più correttamente che senza una pratica di laboratorio (con buona pace di alchimisti “interni” o “spirituali“) non si va da nessuna parte, ma che per intraprendere un cammino corretto e per poi riconoscere e valutare i risultati bisogna avere un background culturale solido e multidisciplinare. Mi confortano in questo l’immagine e l’epigramma 42 dell’Atalanta Fugiens di Maier, in cui la “lectio” è posta con pari rilievo accanto all’osservazione, all’esperienza e al ragionamento. È anzi indicata come la “lampada“, ovvero ciò che illumina, rende chiaro, ogni risultato di laboratorio.m-maier-_atalanta_fugiens-_1618-_emblem_xlii

Ma eravamo partiti dalla materia prima, che “prima“, come abbiamo visto, non è, poiché bisogna in qualche modo crearla a partire da altre materie, e dal fuoco segreto, indispensabile “artificio“, ovvero anch’esso “fatto con arte” come suggerisce l’etimo, ma che si manifesta quando le opportune condizioni si vengono a realizzare. Ho una mia personale idea del fuoco segreto, che devo primo poi riuscire a verificare, che si basa (non solo, ma anche) su un versetto dell’alchemico “Patrem parit filia” di Pierre de Corbeil (ne parlammo qui):

Artifex in opere“.

Per il resto, abbiate pazienza. La scala dei filosofi, la chiama Valois.

Con affetto,

Chemyst

La Pentecoste di Hesdin

Cari fratelli in Cerca,

la Pentecoste cristiana, ovvero lo stupefacente avvenimento con cui gli Apostoli, tramite l’infusione dello Spirito Santo in forma di lingue di fuoco, acquisiscono una nuova e vasta conoscenza, non può che far cogliere all’Alchimista affinità e concordanze con la propria pratica di Laboratorio, che Canseliet per primo definì una ‘Metafisica Sperimentale‘.

Chi ha indagato in profondità questa e le tante altre affinità fra testi e riti cristiani di oggi e di ieri è stato Severine Batfroi, alchimista francese della scuola di Canseliet. Ecco cosa scrive in proposito nel suo bellissimo libro ‘La Via dell’Alchimia Cristiana‘ (Arkeios, 2007):

L’evento più importante che segui la Resurrezione fu certamente la Pentecoste, di cui gli Atti degli Apostoli riportano lo stupefacente racconto. A tale proposito è bene sapere che in greco “Pentecoste” significa “cinquantesimo”, e che questa festa ricordava agli Ebrei la consegna del Decalogo sulla vetta del Monte Sinai. Anche questa ricorrenza corrisponde simbolicamente a determinate fasi del ciclo lunare, ed è quindi affine al ciclo pasquale.

Comprendere il significato della Pentecoste equivale a sondare immediatamente alcune particolarità della religione cristiana. Abbiamo già avuto modo di osservare che i fatti salienti del Cristianesimo si inserissero con notevole precisione nel calendario delle commemorazioni ebraiche o pagane. Agli occhi del cristiano tale concordanza è la prova più eclatante della complementarità delle due dottrine, la giudaica e la cristiana, sebbene egli creda che la seconda sia il compimento della prima. Alla consegna delle Tavole della Legge, che dettarono ai Giudei le norme della loro condotta terrena, corrisponde la discesa dello Spirito Santo della Pentecoste.

L’evento è cosi riferito dagli Atti degli Apostoli: “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro” (Atti, II, 1-3). 

In questo evento fuori dal comune l’alchimista vedrà senza dubbio un simbolo dell’orientamento della pietra filosofale nel dominio umano, ovvero un battesimo per mezzo del fuoco. Se si vuole utilizzare la terminologia alchemica, si può dire che era necessario che gli Apostoli divenissero depositari della virtù “trasmutativa” del Cristo, affinché, per “proiezioni successive”, l’umanità si accostasse allo stato ideale indispensabile alla redenzione collettiva“.

Possiamo non concordare sull’equivalenza fra l’orientamento della pietra filosofale ed il ‘battesimo del fuoco’, a nostro avviso posti quasi ai due estremi della Via alchemica: con l’ultimo si entra nel dominio dell’Arte Sacra, mentre con il primo si è già alle fasi finali di quella che è la via filosofica trasmutatoria. Tuttavia, l’impressione  che la Pentecoste descriva la discesa dello Spirito Universale resta ben centrata nelle parole del Filosofo francese.

Ho trovato, cercando in rete notizie su un compositore franco-fiammingo poco conosciuto, Nicolle des Celliers de Hesdin, spesso indicato nelle edizioni d’epoca con la sola scritta ‘Hesdin‘, il suo paese d’origine, un bellissimo mottetto dal titolo ‘Alleluja: Spiritus Domini‘.

Non mi sono sorpreso particolarmente nello scoprire che Hesdin avesse musicato un testo pentecostale: ormai ho preso consuetudine con la scoperta che compositori di quest’area scelgono di musicare testi di sapore alchemico. Anzi, in qualche modo era un dato atteso: Hesdin è infatti incluso nell’elenco dei musici del IV Libro di Pantagruel di Francois Rabelais, assieme a molti di cui abbiamo parlato in precedenza, ed aggiungo che, senza la guida di tale elenco (che si rivela ogni giorno più preziosa) nulla avrei scoperto di questo Autore pressoché sconosciuto se non presso gli ambienti accademici di Francia e, chissà perché, Stati Uniti.

Ma veniamo al testo: eccolo di seguito riportato

Alleluia.
Spiritus Domini
replevit orbem terrarum,
venite adoremus eum.

Alleluia.
Hodie completi sunt
dies Pentecostes.

Alleluia.
Hodie Spiritus Sanctus
in igne discipulis apparuit,
et tribuit eis charismatum dona.
Alleluia.

Laudes Deo devotas
dulci voce ac sonora
plebs devota caelo decantat.

Alleluia.
Spiritus Sancti gratia
Apostolis die hodierna
in linguis igneis est infusa.
Paracliti praesentia
emundet nos a peccati macula
pura sibi aptans habitacula.

Alleluia.

Dopo l’iniziale Alleluia, i primi due versi riportano alla ‘Antiphona ad Introitum VIII‘:

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Tuttavia, il testo successivo se ne discosta, ed evita il successivo versetto “et hoc quod continet omnia, scientiam habet vocis” che normalmente viene tradotto “e ciò che abbraccia ogni cosa ne ha conoscenza della voce“, nel quale oltre ad un senso piuttosto oscuro spicca quell’ “hoc” che (al neutro!) dovrebbe riferirsi allo Spiritus Domini. No, Hesdin preferisce proseguire con “Hodie completi sunt dies Pentecostes” (oggi si chiudono i giorni della Pentecoste, cioè oggi sono passati cinquanta giorni), tratti dall’Antifona al Magnificat per il II Vespro della Pentecoste,che proseguono con versi suggestivi quali: “Hodie Spiritus Sanctus in igne discipulis apparuit et tribuit eis Charismatum dona“: oggi lo Spirito Santo è apparso ai discepoli nel fuoco ed ha tributato loro i doni dei Carismi.

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Il testo successivo prende origine da ben altra fonte: “Laudes Deo devotas dulci voce ac sonora plebs devota caelo decantat. Spiritus Sancti gratia Apostolis die hodierna in linguis igneis est infusa” si ritrova nientemeno che nel Salterio della chiesa di Sarum, a York, con la variante nel verso ‘plebs resultet Catholica‘.  Certamente anche questa fonte afferisce alle celebrazioni della “Withsun Week”, la “White Sunday Week” di Pentecoste così detta per l’uso di indossare vesti bianche (il celebrante tuttavia veste di rosso, proprio in relazione al fuoco dello Spirito Santo). Tuttavia, mi pare di un certo rilievo notare come il compositore scelga con cura come assemblare il testo del proprio mottetto da fonti sì coerenti con il tema liturgico principale, ma di provenienza diversa, ed in questo caso mi pare non sia possibile non vedere che  Hesdin voglia rivolgere l’attenzione di chi ascolta (o meglio, di chi è in grado di ascoltare, tenuto conto del periodo e dell’alfabetizzazione relativa) proprio verso quel ‘fuoco’ dello Spirito, vera essenza del miracolo pentecostale.

Osservo ulteriormente che questa derivazione anglosassone non deve stupire: la stessa tradizione musicale franco-fiamminga deve alla musica di Dunstable e Powers la propria nascita, e con la musica essa ha incorporato anche i testi ad essa connessi. A tal proposito segnalo come ancora in William Byrd, secoli dopo, sia presente questa ‘tradizione ignea‘ nel testo dell’Alleluia per la Domenica di Pentecoste: “Alleluia. Emitte spiritum tuum, et creabuntur, et renovabis faciem terrae. Alleluia. Veni Sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium, et tui amoris in eis ignem accende“: non è proprio della tradizione alchemica rileggere l’acronimo INRI della Croce di Cristo (simbolo anche del Crogiolo e del Fuoco segreto) come ‘Igne Natura renovatur Integra‘?

Dunque il quasi sconosciuto Hesdin, organista e compositore alla cattedrale di Beauvais, probabilmente ‘strappato presto alla vita da Atropo’ come recita l’epitaffio sulla sua tomba, che ci restituisce anche il nome completo, onora la sua appartenenza a quel milieu di autori illuminati di musica, non ignoto all’altrettanto illuminato Rabelais, che hanno sentito l’impulso (o forse – ma non lo sapremo mai – ricevuto il compito) di trasferire nelle loro opere una ‘fiammella‘ (mi si passi il gioco) di conoscenza rivestendola di vesti di bellezza in modo da affidarne il messaggio ai secoli a venire.

Un abbraccio a tutti i Cercatori sinceri e di buon cuore

Chemyst

Ave Verum Corpus

Cari Curiosi,

non so se il mio presupposto sia fondato, cioè che ad una certa scuola musicale sia stata affidata la Fiammella della Tradizione, fatto sta che la scelta dei testi sacri da porre in musica da parte dei Fiamminghi, di qualsiasi generazione, sembra indicare che una certa conoscenza delle cose ermetiche fosse parte del loro bagaglio. D’altronde, qualche vicinanza culturale fra uno dei più grandi dei Fiamminghi e la corte Estense non impervia al sapere ermetico è stata già posta in luce in un precedente post. Di conseguenza, non è con azzardo che sottoponiamo qui alla vostra curiosità un testo pieno di interesse (perchè pieno di riferimenti alla nostra Arte) che è stato posto in musica da quello stesso Maestro Fiammingo che ha musicato Virgo Salutiferi oggetto di un precedente post. Questo Maestro è Josquin Desprez (nei commenti al post citato c’è anche una sua puntuale biografia tracciata da Captain Nemo) ed il testo da lui musicato è Ave Verum Corpus.

Qualcuno di voi potrebbe anche aver fatto parte di un coro: di conseguenza sicuramente si è imbattuto in un famoso brano di Wolfgang Amadeus Mozart che porta il medesimo titolo, Ave Verum Corpus. Questo fatto, indirettamente, potrebbe confermare il contenuto ‘esoterico’ del testo: Mozart infatti lo compose durante il suo ‘Periodo Massonico’ , quindi sia lui, se fosse avanzato abbastanza nel suo cammino iniziatico al punto da percepirne i significati, sia gli eventuali committenti potrebbero essere stati consapevoli  di alcuni riferimenti inseriti in questo testo.

Il testo è il seguente, ma sia Mozart che Desprez lo hanno musicato solo in parte:

Ave Verum Corpus natum de Maria Virgine

Vere passum, immolatum in cruce pro homine,

Cujus latus perforatum unda fluxit et sanguine,

Esto nobis praegustatum in mortis examine.

O Jesu dulcis, O Jesu pie, O Jesu, fili Mariae,

Miserere mei. Amen

La traduzione italiana è la seguente:

Ave, o vero corpo,  nato da Maria Vergine,

che veramente patì e fu immolato  sulla croce per l’uomo,

dal cui fianco squarciato  sgorgarono acqua e sangue:

fa’ che noi possiamo gustarti  nella prova suprema della morte.

O Gesù dolce, o Gesù pio,  o Gesù figlio di Maria.

Pietà di me. Amen.

Va subito detto che Mozart non ha musicato la preghiera finale ‘O dulcis, o pie, o Fili Virginae Mariae’, mentre Desprez ha tralasciato ‘Esto nobis praegustatum in mortis examine’.

Ma cominciamo da… capo ! Ave, verum Corpus: si parla di un ‘corpo’ ovvero di un qualcosa di ‘f’isso’, di materiale, tangibile, solido: è di questi giorni la pubblicazione da parte di Captain Nemo, con sorprendente tempismo, di un post su Maria la Profetessa nel corso del quale cita un suo passo in cui si parla, appunto di un ‘verum corpus‘: una ‘coincidenza’ davvero divertente! Per di più, questo ‘corpus’ (curioso, anagrammandolo viene ‘cupros’…) è ‘natum de Maria Virgine’, ovvero da una mater(ia) vergine… e fin qui ci siamo, perfettamente nello schema dell’Opera, quando, parafrasando un’altra composizione musicale, una Lauda a tre voci di Anerio, assistiamo ‘All’apparir del sempiterno Sole’.

Ma il nostro testo riserva ben altre sorprese: chi l’ha redatto sapeva bene che, dopo un cotal titolo “Ave VERUM Corpus’, tutti, per similitudine, avrebbero tradotto il successivo ‘vere passum‘ con ‘veramente patì’, ‘davvero patì’ o anche ‘passò’. Tuttavia, ‘vere’ può sì essere, ed a pieno titolo, l’avverbio ‘veramente’, ma altrettanto correttamente può essere tradotto con ‘in Primavera‘, con un ablativo di tipo temporale da Ver, veris, Primavera, appunto. Ed è in Primavera che lavorano gli Alchimisti, quando copiosa discende la Rugiada Celeste nelle notti d’Ariete e di Toro.  Se poi, una volta accesasi la fiammella della curiosità, si voglia consultare un Dizionario latino di buona qualità (suggerisco vivamente Georges-Calonghi) si potranno scoprire tanti significati meno noti delle parole: è il caso di passum, aggettivo neutro derivato da Patio, da cui ‘paziente’ (… paziente? dove ho letto paziente ed agente?) e che sicuramente significa ‘ha sofferto’… e, aggiungo, essendo morto all’antivigilia della Pasqua di Resurrezione, sicuramente Cristo è ‘passus’ in Primavera, per cui quel ‘vere’ di poco fa è corretto anche temporalmente, ma.. se spulciate  i significati meno usati di Passus vi trovate anche ‘disteso’, addirittura ‘aperto’. E’ divertente, poi, che se riferito ai capelli, passus significa sciolto, mentre se riferito al latte, significa ‘rappreso‘. Un ‘solve et coagula‘ in una sola parola… anche se magari a noi piace la seconda, parlando di un corpo, ma si sa, in Alchimia i cambiamenti di stato sono frequenti ed alterni.

Comunque, il nostro corpo in primavera viene disteso, e successivamente ‘immolatum in cruce pro homine‘ : ora che ci abbiamo preso gusto, accettiamo che ‘pro homine’ significhi esattamente ‘per il bene dell’umanità’ (perchè è anche per questo che si fa Alchimia), e comunque non è notizia da poco. Tuttavia, è interessante la parola ‘immolatum’, che già dal suono ci riporta al ‘Mens agitat molem’ caro a Canseliet (un’intelligenza muove la massa), e potrebbe indicare che qualcosa va in una massa (in molem), ma anche alla mola, a qualcosa che tritura (e quindi apre) il nostro corpo preparandolo alla croce, che Fulcanelli ci rammenta aver etimo comune con crucibulum, crogiolo…

Brevemente, possiamo ricordare che la Croce, per come è costruita, è simbolo di una religio fra le cose superiori e quelle inferiori, fra il piano terreno simbolizzato dalla linea orizzontale e quello celeste cui si connette la linea verticale.  Sulla Croce di Cristo, l’acronimo INRI, tributo alla regalità di Gesù, verrà letto dai Figli d’Ermete con Igni Natura Renovata Integra, ed ecco un’ulteriore piccolo segnale nel bosco, ed in fondo tutta la differenza fra l’Arte e la Chimica. Ecco dunque, a questo punto, si differenziano i testi utilizzati da Mozart e  da desprez: anche quello di Mozart contiene un interessantissimo ‘Unda fluxit et sanguine’ (in altre versioni Unda fluxit cum sanguine), mentre Josquin passa direttamente ad un’altro indispensabile strumento dell’Alchimista, la preghiera finale: “O dulcis, o pie, o Fili Virginis Mariae”.

Ed il cerchio è concluso.

Noldor