Dei riti della settimana Santa, quelli legati al Venerdì Santo sono ovunque particolarmente suggestivi. Per la loro celebrazione sono nate, in passato, Confraternite religiose il cui nome includeva sempre il termine “morte“, il colore delle divise era (ed è) il nero, ed il teschio bene o male ricorreva all’ingresso delle loro cappelle, sempre ad accesso riservato ai membri o comunque molto limitato.
Il venerdì, secondo gli evangelisti sinottici, era il giorno in cui fu crocifisso Gesù, ed è da molti, e per molti aspetti, considerato il giorno più buio della Cristianità, quando il popolo eletto uccide il proprio Dio sulla croce.
Esistono peraltro, in questa narrazione, molte valenze simboliche che risultano familiari all’alchimista, e tante similitudini fra esse e molte operazioni di laboratorio. Il repertorio musicale di questo “tempo forte“ della Liturgia è ricchissimo: dalle mie parti il testo più rappresentato è il “Miserere“ (Salmo 50), che associa alla morte di Cristo la preghiera di perdono per quello che forse è stato il delitto più grande dell’umanità.
Fra i più drammatici ed evocativi c’è anche il “Tenebrae factae sunt“, le cui più felici realizzazioni fanno capo a Toma Luìs da Victoria, ma che hai spirato molti grandi, Gesualdo da Venosa fra gli altri, ma anche Marco Antonio Ingegneri, Giovanni Croce, Orlando di Lasso.
La resa musicale di da Victoria è intensa, d’altronde il testo è molto suggestivo:
Tenebrae factae sunt,
dum crucifixissent Iesum Iudaei:
et circa horam nonam
exclamavit Iesus voce magna:
“Deus meus, ut quid me dereliquisti?”
Et inclinato capite,
emisit spiritum.
Exclamans Iesus voce magna,
ait: “Pater,
in manus tuas commendo spiritum meum”.
Et, inclinato capite,
emisit spiritum.
Alternato al già citato Miserere, c’è poi “Asperges me Domine“, (qui in una dolcissima versione di Loyset Compére) in cui si “usa“ l’issopo a scopo purificatorio, e che ha un ulteriore legame con la Pasqua in riferimento alla strage dei primogeniti egizi, quando l’angelo della morte “passò oltre“ (possibile origine del termine Pasqua) le case segnate con il sangue dell’agnello su montanti ed architrave delle porte, mediante la sua immersione nel sangue degli Agnelli uccisi ed usato come una sorta di pennello. L’issopo era generalmente usato in tutte le cerimonie di purificazione.
A proposito dell’Agnello, altro importante simbolo alchemico e pasquale, esso è in qualche modo legato alla data mobile della Pasqua: quest’ultima è fissata nella prima domenica successiva al primo plenilunio dopo l’Equinozio di Primavera. E l’Equinozio di Primavera è intorno al 21 marzo, quando il Sole entra in Ariete, il quale può essere considerato come il Padre dell’Agnello. Molte dunque sono le interconnessioni fra alchimia, astronomia e lo stesso simbolismo religioso…
Dunque in questa cupa atmosfera domina il colore nero, il colore della putrefazione in alchimia, passaggio obbligato per ogni trasformazione, per ogni tappa del procedimento. E’ lì che agisce il Fuoco Segreto, quello stesso che proprio Gesù è venuto a portare nella terra (Canseliet). Ma l’issopo, simbolo anche di umiltà, produce un effetto sorprendente: recita infatti il primo versetto:
“Mi aspergerai con l’issopo, e sarò mondato;
mi laverai e sarò più bianco della neve (letteralmente: “e sarò sbiancato oltre la neve“).
Si passa dunque dal nero della morte e della putrefazione al bianco bianchissimo che ritroviamo attributo del Mercurio Filosofico, in ogni caso è la Luce che si libera delle tenebre…, più chiara.
Chissà, su come farlo ancora una volta troviamo soccorso nei simboli della morte: il suo “caput mortuum“, la “testa morta“ che ritroviamo sulle porte delle Confraternite e che, all’apice del dramma sacro della Crocifissione (dell’Agnello di Dio sulla Croce abbiamo già parlato qui) quando Gesù “inclinato capite, emisit spiritum”.
Forse è proprio così che dobbiamo cercare.
Chemyst