Cari Compagni di Cerca,
ho promesso ad alcuni di voi di mettere giù alcune considerazioni ‘musicali’ partendo dalla scala della Grand Coction di Canseliet: ebbene, il lavoro si sta rivelando ampio e variegato, per cui avrei pensato di dividerlo in più parti (almeno due).
Il tutto prende le mosse da questa affermazione di Eugene Canseliet nei ‘Due Luoghi Alchemici’, a pag. 244:
“Allo stesso modo, Arte della Musica, Grande Armonia, Gioco di Bambini sono tre perifrasi che esprimono più specialmente nella Grande Opera l’ultima cottura, quella dell’uovo interamente estratto dal caput in apparenza sudicio: il guscio, l’embrione e i nutrimenti, bianco e giallo”
Non è questa, tuttavia, la prima frase che fa riferimento alla musica nel bel libro di Canseliet (e che già suscita domande, ad esempio: Grande Armonia: ce n’è anche una piccola?): nel capitolo precedente dedicato a “La Fanciulla e la Tartaruga dalla lunga coda”, infatti, egli commenta brevemente (ma raccomanda agli ‘etudiants’ di analizzarla profondamente) l’incisione che fa da copertina al “Traité de l’Eau de Vieou Anatomie théorique du Vin, divisé en trois livres. Composez autrefois par feu Me. I. Brouart Médecin” stampato a Parigi da Jacques de Senlecques, en l’Hostel de Baviéres, vicino alla porta di S. Michel nel 1646. tale incisione non viene riprodotta ne ‘I due luoghi alchemici’, bensì nei ‘Trois ancient Traités d’Alchimie’.
Di questa bellissima immagine parleremo ancora: vi prego preliminarmente di notare che anche qui vi sono un organo ed una viola. Il primo ha sette canne (numerate…) , mentre la viola ha 4 (o forse 5) corde. Vi prego di dare un’occhiata anche alla sequenza delle note riportata sopra una delle due partiture.
Dello stesso Senlecque, invece, poco più avanti riproduce un’altra incisione (Tav. XXVIII, pag. 239, riportata sopra) molto interessante. Essa è divisa in due parti uguali. In quella a sinistra c’è in primo piano Basilio Valentino in abito monacale, definito ‘Filosofo Occidentale’ mentre nell’altra metà, meno in evidenza, c’è Ermete Trismegisto, nei panni del ‘Filosofo Orientale’. La tartaruga (con il simbolo di Saturno sul dorso) è visibile già nel riquadro in alto a sinistra, sopra e dietro la testa di Basilio, nel quale essa si muove su un terreno collinoso ed arido tranne che per un tralcio di vite con due grappoli d’uva (la vite, in effetti, predilige terreni secchi) sul quale un Leone è nell’atto di divorare un drago alato (?).
Il cielo sovrastante mostra ai due estremi in alto una Luna a sinistra ed un Sole a destra, entrambi dotati di volto, e fra di essi il doppio simbolo della Grande Opera, la stella a sei punte formata dall’intersezione dei due triangoli d’Acqua e di Fuoco, con incastonato al centro il simbolo aureo con il suo nodo. A fianco di questo disegno, a sinistra il simbolo di Venere ed a destra quello di Marte, coerenti nella loro posizione con gli astri maggiori che li sovrastano.
Accanto a questo, vi è un altro riquadro, suddiviso in due sezioni orizzontali, la superiore delle quali contiene una fila di sette Libri di Autori ermetici, di altezza crescente da sinistra a destra, sul cui dorso si legge il rispettivo nome: nell’ordine, Cosmpopolita, Flamel, Basilio Valentino, Artefio, Raimondo Lullo, Geber, Hermes. A titolo dell’immagine in alto vi è la scritta ‘Theoria’.
Il riquadro inferiore, con la scritta ‘Practica’, contiene sette bottiglie, anch’esse di grandezza crescente, ognuna corredata da un’etichetta obliqua con una scritta che ne indica il contenuto e su ognuna delle quali è riprodotto un simbolo alchemico. Purtroppo delle scritte riesco a leggere soltanto le ultime tre a destra, ovvero ‘Agens’, ‘Acetum’ e ‘Aqua vitae’.
Nel riquadro principale, Basilio ‘imbibe’ la stessa tartaruga saturnina con il succo di un grappolo d’uva che spreme in una mano; la tartaruga è poggiata su quello che sembra un piccolo fornello. Altri oggetti sono sul suo tavolo, fra i quali una brocca che tiene con l’altra mano, altri due grappoli d’uva in un piatto. Dietro di lui, su una mensola, dei crogioli di varia dimensione, ed un oggetto che sembra una sorta di gabbia.
Ora mi direte: e la Musica? E’ tutta nell’altra metà del disegno, quella dove il Trismegisto, con una sfera armillare nella destra, con la sinistra regge il collegamento fra due alambicchi poggiati sul piano superiore di un forno, dentro il cui fuoco vivo, visibile in basso, sta per essere posta con una graticola la stessa tartaruga mercuriale. Detto forno ha un tubo di sfogo da cui esce del fumo, ed accanto a detto tubo c’è un ‘pellicano’, colpito dai raggi di un Sole dal volto solenne, concentrati da uno specchio ustorio.
Dietro e in alto rispetto ad Ermete, un riquadro contiene sette canne d’organo, di dimensione crescente, da sinistra a destra, su ognuna delle quali c’è il simbolo di un pianeta o di un metallo, se preferite: da sinistra Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Al di sopra delle canne, la scritta:
“Psallite Domino in Chordis et Organo”
Questo versetto parafrasa quello di un Salmo caro ai musicisti, un po’ meno ai prelati (che oggi ciecamente cercano di espellere la polifonia ed ogni genere di musica colta dalla liturgia), il Salmo CL, che inizia con le parole ‘Laudate Dominum in sanctis eius’ ed in breve esorta alla celebrazione divina con ogni mezzo musicale: a tal proposito devo correggere la traduzione di Canseliet (Cantate per il Signore sui Liuti e sull’Organo), poiché con ‘Organum’ si intende ogni ‘sorte di stromenti’ e non l’organo. In ogni caso, è con l’accezione di Organo che verosimilmente è inserita la citazione nel disegno, così come per le ‘Chordis’ si fa riferimento ad uno strumento a corde, non un liuto ma un lontano cugino, la viola.
Il Salmo intero recita così:
Laudate Dominum in sanctis eius.
Laudate eum in firmamento virtutis eius.
Laudate eum in virtutibus eius.
Laudate eum secundum multitudinemmagnitudinis eius.
Laudate eum in sono tubae.
Laudate eum in psalterio et cithara.
Laudate eum in tympano et choro.
Laudate eum in chordis et organo.
Laudate eum in cymbalis bene sonantibus.
Laudate eum in cymbalis iubilationis.
Omnis spiritus laudet Dominum!
A chi volesse approfondire, questo Salmo, oltre ai preziosissimi riferimenti musicali, contiene un messaggio ermetico che il Maestro di Savignies definirebbe volentieri ‘trasparente’: pensiamo solo al simbolismo del Firmamento, ed all’insisteza del salmista nel sottolinearne la Virtus…
Quanto agli strumenti, essi sono la tromba (tuba), il salterio e l’arpa (cithara), il timpano ed il coro, le corde e gli strumenti (forse a fiato, qualcuno traduce con ‘flauti’), i cembali (piccoli sonagli metallici piatti) ‘che suonano bene’ e ‘nella loro gioia’.
Alla destra del Filosofo, è disegnata una grande viola da gamba a sette corde, persino numerate fra il ponticello e la cordiera, ed il cui manico è suddiviso da sette capotasti, anch’essi numerati. L’archetto, nella sua tipica forma seicentesca, si incrocia con le corde ad ‘X’, come sottolinea lo stesso Canseliet. Sotto alla viola, la scritta:
HARMONIA
sancta, spirituum
malignorum fuga,
seu (simbolo di Saturno) intemperiei
Medicina est
Il Maestro di Savignies ci ricorda che la successione dei ‘pianeti’ disposti sulle canne dell’organo è quella del sistema Geocentrico Tolemaico, ovvero a distanza crescente, apparente, dei rispettivi ‘cieli’ dalla Terra. Quel che posso aggiungere io è che una disposizione di canne del genere porterebbe a generare una scala discendente, o forse dovrei dire che quella è l’immagine speculare della disposizione reale delle canne di un organo. Riparleremo delle canne d’organo ancora, nel prossimo post.
Avevo cercato corrispondenze ‘speculari’ anche per i libri, o meglio per una possibile antichità crescente/decrescente dei Filosofi nominati: essa tuttavia non c’è, in quanto, sebbene il più antico sia effettivamente ad un estremo della ‘scala’, ovvero Ermete Trismegisto, seguito da Jabir (Geber), mentre Lullo è più recente di Artefio e Basilio Valentino probabilmente lo è più di Flamel.
Anche per la viola si può dire qualcosa: innanzitutto nell’anno di stampa dell’incisione e del libro che la contiene, ovvero il 1646, non c’erano viole a sette corde, ma fino a sei: la viola a sette corde è un modello tardo, francese, del XVIII secolo, ultimo tentativo di ‘grandeur’ di questo nobilissimo strumento prima di soccombere al più dinamico ed irruento violoncello che la sostituirà. I sette capotasti, invece, erano direi quasi normali. Non a caso, peraltro, credo che tale numero sia stato così chiaramente ed insistentemente indicato. Tuttavia, da violista, osservo: se con sette canne d’organo si generano sette note, con sette capotasti su una corda se ne generano otto… e con sette corde + sette capotasti se ne ottengono 56, per quanto molte delle stesse si sovrappongono (ogni corda è a distanza di una quarta dalla precedente, tranne che fra la quarta e la quinta, dove l’intervallo è di una terza maggiore). L’accordatura di una viola francese a sette corde è: La – Re – Sol – do – mi – la – re … a voi il computo delle note totali.
Anche la sequenza dei pianeti sulle canne d’organo speravo avesse una relazione con la successione dei regimi di Filalete, ma quest’ultima è del tutto differente.
Mi fermo qui, per questa puntata, peraltro già abbastanza densa: aspetto qualche Fratello Maggiore caritatevole per la spiegazione dei simboli sulle bottiglie, e tutti voi per eventuali benevoli contributi alla discussione.
Un caro saluto, e alla prossima puntata…
Chemyst