Sinceritas

Cari compagni di cerca,

auguro a ognuno di voi di trovare un amico, anzi un Amico, dotato della rara dote, scomoda, ruvida a volte, della sincerità.

È una dote che si riconosce da lungi, e se volete non parlo di distanza (o soltanto di distanza) ma di profondità.

Ne nostro mondo Fatto di ricerca, delicata ma spasmodica, di risonanze, simpatie e affinità, cogliere quell’identità di un “clock“ interiore è fonte rara di gioia. Al punto che lo scopo di un viaggio di ore per sfruttare la “coincidenza“ (ma nulla è per caso) del suo passaggio nelle natie Marche Italiche, volto a testimonianze e racconti, esita in un abbraccio d’anime fatto di generosità e doni reciproci ben al di là dello scopo, pur nobile, della mia incursione.

Schiaminossi Raffaello, Sinceritas, 1605

Dalla sua Sveti Rok, dove arderà nuovamente la fiamma del suo Athanor, la narrazione (frammentaria! o tempo tiranno) spazia dallo sciamanesimo alla beat generation, dall’Arte Sacra dell’Alchimia a quella dei Pittori del Rinascimento, dalla Musica di quel tempo all’inquinamento delle “onde“ di cui paventava (ahimè, quanto giustamente) Canseliet, fino alle terre promesse d’Armenia e d’Azerbaijan, forse proprio là dove la vita si riunirà in un solo spazio. E sullo sfondo, quelli che ne hanno parlato: Fulcanelli, Canseliet, Laplace…

È stato un ritrovarsi e riconoscersi, oltre le ferite e le battaglie, le medaglie e le perdite che entrambi abbiamo portato in dote, d’ambo le parti giudicandolo un privilegio.

Non dirò (non gli piacerebbe) chi è quel Fratello che mi ha reso così felice, ma testimonio che esiste, che cammina (felice? Più di molti!) e che conosce, molto di più di tanti pretesi maestri e fratelli maggiori, profondi segreti di Madre Natura e Dama Alchimia.

A lui, grazie dal profondo del cuore.

Chemyst

Il Drago e la Principessa

Cari Cercatori,

sempre più di rado ci viene data la possibilità di parlare di Alchimia e di incontrare chi davvero la pratichi.

È questo il caso di Marwān, al secolo Fiorella Negro, autrice fra l’altro de ‘Il Drago e la Principessa’ per la casa editrice Jouvence.

Il libro è uscito nel 2022 ed è un volume di oltre 400 pagine, ricco di riferimenti pittorici e di note e didascalie, ognuno dei quali può essere ulteriore spunto di ricerca per i più curiosi (e gli alchimisti lo sono).

Di seguito la locandina diffusa online mediante la pagina Facebook ‘L’Arte del Fuoco’, che contiene, oltre ad informazioni su data e luogo, anche note bio-bibliografiche sull’Autrice.

La locandina dell’evento

Per chi volesse, uno sguardo autobiografico di Marwān sull’Arte è oggetto della precedente pubblicazione ‘L’Arte del Fuoco’ del 2019, sempre per Jouvence.

La lettura de ‘Il Drago e la Principessa’ è invece un’avventura caleidoscopica che coinvolge il lettore in un viaggio affascinante fra arte e simbolo, nel quale l’Autrice, con il riferimento tematico del titolo quale barra del timone, ci guida con metodo rigorosamente scientifico, poggiato su una solidissima e ricchissima bibliografia, attraverso pittura e arte in generale da cui estrae puntualmente insegnamenti preziosi che correla a passi dalla sterminata bibliografia alchemica, che evidentemente conosce e maneggia con disinvoltura.

Un passo dal capitolo La Saggezza del Serpente

Accanto a tanta ricchezza, frammisti ad essa, squarci improvvisi di amore per la Natura, con la quale Fiorella intrattiene da sempre un rapporto privilegiato e che ci narra con gioia infantile eppure con una profondità di sentimento che stupisce e che accende nel cuore del lettore quasi una nostalgia e un richiamo per quella dimensione trascendente e metafisica che è essenziale in Alchimia, che rimanda a quella ‘Forza forte di ogni forza’ che Dante c’insegna ‘move ‘l sol e l’altre stelle’, un misto di Amore incondizionato e di Abbandono.

Chi ne abbia la possibilità, non trascuri l’occasione: il 25 febbraio alle 17:30 a Bologna, Royal Hotel Carlton.

Chemyst

Il vero autore di un libro

Cari Cercatori,

nel proseguire le mie ricerche su Jacques de Senlecques figlio, linguista, musico, editore parigino del Seicento di diverse opere di carattere alchemico, mi sono imbattuto in alcune attribuzioni che mi sono parse discutibili.

La ricerca era partita, già diverso tempo fa, dal frontespizio del Traite de l’Eau de Vie di Jean Brouaut1, poiché conteneva immagini musicali e alchemiche insieme, frontespizio che aveva attratto già la considerazione di Eugène Canseliet in ‘Due Luoghi Alchemici2 :

Canseliet inoltre utilizzerà anche l’immagine dell’Escusson harmonique (anch’esso di grande interesse per le medesime ragioni del frontespizio) il quale, come spiega lo stesso Senlecque, rappresenta il suo personale marchio tipografico, alchemico e armonico. Egli lo riproduce in una versione colorata, in un altro libro, Trois traités alchimiques3 .

Jean Brouaut è stato un personaggio singolare e controverso, deceduto molti anni prima (1606) che Senlecque decidesse di pubblicare il suo manoscritto. Esso è stato acquisito nostro editore (arricchendolo con un proprio Avviso al lettore e una Spiegazione, dal precedente possessore, il collezionista ed erudito Balesdens.

Senlecque utilizzerà la medesima immagine di frontespizio per altre pubblicazioni a carattere alchemico, e fra queste anche per ‘Abrege de l’Astronomie inferieure‘, che reca come autore un tal Jean de Bonneau.

Jean de Bonneau in effetti potrebbe far pensare a un ‘nom de plume’ alchemico per via della facile ‘cabala fonetica’ ‘Bonne Eau’, letteralmente l’acqua buona. Ed è con questa firma che Jacques de Senlecque ha pubblicato l’Abrégé de l’astronomie inférieure des sept métaux: Harmonies des systemes de ces sept planètes ensemble des douze signes du zodiac & autres constellations du ciel des philosophes hermetiques, in due edizioni, nel 1645 e nel 16464

Orbene, basandosi su affinità stilistiche e di contenuto, ancora oggi la Biblioteca nazionale di Francia (BnF) ha stabilito che sotto lo pseudonimo di Jean de Bonneau si celi lo stesso Brouaut. Per tale ragione verosimilmente tale identificazione è riportata anche da Claude d’Ygé nella bibliografia del suo libro Nouvelle assemblèe des Philosophes Chymiques Apercus sur le Grand-Oeuvre des Alchimistes5

Secondo Suzanne Colnort6, tuttavia, che viene ripresa in questo parere anche da Francois Secret7, il misterioso I.D.B., firmatario di una delle lettere di approvazione del trattato di Brevotius e che Senlecque dichiara di stimare molto, è proprio Jean de Bonneau, autore dell’Abregè de l’Astronomie Inferieure

Le due ipotesi sono ovviamente in assoluto contrasto, in quanto sappiamo che Brouaut è morto in carcere nel 1604 a Carentan. D’altra parte lo stile di I.D.B., firmatario della lettera, ci appare più sintetico e anche più diretto di quello dell’autore del ‘Traitè de l’Eau-de Vie’ ed invero mostra una reale competenza in materia di alchimia. 

Inoltre, a favore di questa ipotesi (che riporterebbe I.D.B. ad essere un contemporaneo di Senlecque e non un autore morto prima della sua nascita) c’è il “Privilege du Roy“ a firma di Denisot con cui I.D.B. cede i diritti di pubblicazione del suo ‘Abrege‘ a Jacques de Senlecque: come si può leggere chiaramente nell’immagine, il consigliere del re Denisot identifica I.D.B. con Bonneau poiché letteralmente si riferisce a lui come  ‘dudit Bonneau’.

In qualche modo analogamente al Traitè di Brouaut, anche Jean de Bonneau tratta di temi astrologici che chiaramente, nel corso dello scritto, si riferiscono ad aspetti dell’Arte del fuoco, chiarendo così anche il senso del titolo.

Jean de Bonneau e Jean Brouaut saranno stati indubbiamente di due autori poco noti, ma con i loro scritti testimoniano la vivacità dell’ambiente alchemico francese del XVII secolo, vivacità alla quale anche il bravo Jacques de Senlecques II ha dato un pregevole contributo, come sottolineato dallo stesso Canseliet. Ci è parso pertanto utile chiarire e precisare le relative attribuzioni autoriali.

Chemyst

  1. Jean Brouaut, Traité de l’Eau de Vie, ou Anatomie théorique et pratique du vin, Paris, 1646, Jacques de Senlecques fils ↩︎
  2. Eugène Canseliet, Due Luoghi Alchemici, Roma, 1998 ?, Mediterranee ↩︎
  3. Eugène Canseliet, Trois ancien traités alchimiques, Parigi, 1975, Pauvert ↩︎
  4. Jean de Bonneau, Abrégé de l’astronomie inférieure des sept métaux: Harmonies des systemes de ces sept planètes ensemble des douze signes du zodiac & autres constellations du ciel des philosophes hermetiques, Paris, 1645 e 1646, Jean de Senlecque fils ↩︎
  5. Claude d’Ygé de Labatiniére, Nouvelle assemblèe des Philosophes Chymiques, Paris, 1954, Dervy-livres ↩︎
  6. Suzanne Colnort Un traité de thérapeutique au XVIe siècle: Brouaut et la panacée alcoolique. Revue d’histoire des sciences  12-4:1959, 301-313 ↩︎
  7. François Secret, Littérature et alchimie au XVIIIe siècle: L’Écusson harmonique de Jacques Sanlecque, Studi Francesi 47-48 (1972): 338-346 ↩︎

Tu solus…

Carissimi,
probabilmente, dopo aver letto questo post, penserete che il caldo fa brutti scherzi. Prendetelo quindi come un post estivo, di un’estate in cui controllo delle temperature deve essere sfuggito al Trickster di turno, così come quello della primavera, ma questo – per quanto attinente alle nostre cose – è un altro discorso.
Bene, nel cercare un brano da adattare ad una formazione di quattro flauti dolci, di carattere accordale ma che fosse anche bello, mi sovviene il brano di Josquin DesprezTu solus qui facis mirabilia’.

È un testo che di fondo afferma la fedeltà del cristiano a Nostro Signore, con la ripetizione di quel “solus“ ostinato e frequente, sia per la caratteristica dell’azione divina, sia per l’esclusività della fede del cristiano. E dunque il “solus – solum“ la chiave di lettura alchemica di questo brano, suddiviso in due parti nelle raccolte più comuni, ma presente nella sola prima parte come mottetto di sostituzione del Benedictus nella ‘Missa d’ung aultre amer’ dello stesso Josquin, scritta sul materiale sonoro dell’omonima chanson di Johannes Ockeghem.
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Qui le cose iniziano a farsi interessanti: la citazione della chanson di Ockeghem nel mottetto di Josquin compare solo nella versione in due parti, quella per intendersi pubblicata in autonomia dalla messa, e come un “tropo“ (al contrario) inserita con le parole francesi nel contesto dei versi latini. Faccio inoltre notare che il senso del testo della chanson è del tutto coerente e consonante con il motto “Aultre n’auray’ del duca di Borgogna Filippo il Buono, fondatore del Toson D’Oro e grande mecenate della musica, oltreché probabile alchimista al pari del suo cugino, il duca del Berry.

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Una delle più note immagini del libro ‘Très riches heures du Duc de Berry’

 

Ockeghem non ha servito i duchi di Borgogna, ma è stato più volte a Bruges, ed il più stimato dei cantori del Ducato è stato Busnoys, suo allievo, il quale scrive una “A vous sans autre“, un bellissimo canone a tre voci, ancora una volta del medesimo senso del motto ducale. Lo stesso fecero van Ghizeghem e Morton, come Busnoys compositori di corte e poi ‘Valets de chambre‘ di Carlo l’Ardito, successore di Filippo.
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A chi fosse rivolta la fedeltà del duca Filippo (e dei suoi musicisti) ce l’ha spiegato Eugene Canseliet. Desprez, dal canto suo, riprende e tramanda nel suo tempo la  chanson di Ockeghem, suo Maestro, e l’associa a questo mottetto, conservandone intatto il senso. Ancora una volta mi chiedo: a chi si rivolge Desprez? A Gesù Cristo, in tutta evidenza. È una risposta logica.
Ma vediamo un po’ il testo:
Tu solus qui facis mirabilia,
Tu solus Creator, qui creasti nos,
Tu solus Redemptor, qui redemisti nos
sanguine tuo pretiosissimo.

Ad te solum confugimus,
in te solum confidimus
nec alium adoramus,
Jesu Christe.

Ad te preces effundimus
exaudi quod supplicamus,
et concede quod petimus,
Rex benigne.

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D’ung aultre amer,
Nobis esset fallacia:
D’ung aultre amer,
Magna esset stultitia et peccatum.

Audi nostra suspiria,
Reple nos tua gratia,
O rex regum,
Ut ad tua servitia
Sistamus cum laetitia
in aeternum.

Il quinto versetto, ed anche il sesto, forse assieme alle alte temperature di oggi, mi hanno fatto pensare: “Ad te solum confugimus“. Presso te solo ci rifugiamo. Benissimo. Ma “solum“ è anche la terra: “in te, terra, confidiamo“ è il versetto successivo. La terra, una terra! Una sostanza? Ora che siamo in ballo, con un po’ di fantasia, se quei “solus“ all’inizio fossero “solum“, ecco una “terra che fa meraviglie“, la nostra materia prima, ecco una terra che (ci) crea (Adamo fu creato dalla terra) e che ci redime. Come? Per mezzo del suo preziosissimo sangue (ovvero, alchemicamente, lo zolfo).
Ecco allora che ad essere “redenti “sarebbero i metalli imperfetti, per mezzo di uno zolfo che ne trasmuta la forma.
Dite che è il caldo? Mah, chissà, potreste aver ragione…
Buona estate!
Chemyst
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La Queste de Jean Molinet

Cari Cercatori,

abbiamo visto con quale rispettosa meraviglia Paolo Lucarelli considerasse il ‘Roman de la Rose‘ “…ou l’Art d’Amour est toute enclose“; sappiamo anche che l’Alchimia è per eccellenza l’Arte d’Amore, ed è personificata spesso dai suoi Fedeli innamorati come una Dame sans merci.

Il ‘Roman de la Rose‘ è stato scritto, diremmo così, ‘a quattro mani’: Guillaume de Lorris ha scritto la prima parte (4205 versi nel 1203) e Jean de Meung aggiunse ad essa ben 17724 versi nel 1275.

Guillaume De Lorris

Qualcuno di voi, inoltre, ricorderà che spesso trovo, nei testi delle composizioni di alcuni autori fiamminghi di musica antica, rimandi alchemici, e che spesso queste composizioni sono firmate da maestri che in qualche modo hanno conosciuto, sono stati allievi o in generale hanno avuto rapporti con Josquin Desprez, o composte da lui medesimo.

Per ragioni affatto musicali, peraltro, considero uno dei capolavori di Josquin la ‘Deploration pour la mort de Johannes Ockeghem‘, per la sua espressiva drammaticità (in barba a chi crede al luogo comune dei Fiamminghi quali freddi tecnici del contrappunto) e per la sua struggente bellezza:

Fra i molti bei video disponibili ho scelto questo, non solo per il pregio dell’esecuzione, ma anche perchè i cantori leggono da un leggio come quelli in uso all’epoca, e – particolare che mi ha fatto sorridere –  il Maestro di Coro è l’unico a portare gli occhiali, come nella miniatura che ritrae lo stesso Ockeghem con i suoi cantori (forse proprio lo stesso Josquin, Pierre de la Rue, Antoine Brumel e Loyset Compere, citati nel testo). 

Forse proprio questa drammatica bellezza ha oscurato  l’autore del testo, anch’esso drammatico e struggente,  ovvero Jean Molinet. Chi era costui (direte, parafrasando Don Abbondio)? Bene, Wikipedia mi ha riservato una bella sorpresa: mi ha rivelato che, oltre a scrivere l’epitaffio per il vecchio maestro fiammingo, è stato uno storico ed messo in prosa proprio ‘Le Roman de la Rose‘! E non è tutto: Molinet è stato anche compositore, di lui conosciamo una sola composizione che però ha goduto alla sua epoca di grande popolarità. E’ scritta in uno stile più arcaico di quello di Desprez e forse dello stesso Ockeghem, a quattro parti, delle quali una (il Tenor) strumentale.

Dicevamo che l’Alchimia è spesso raffigurata dai suoi appassionati come una Dama di cui ci si innamora, Dama che concede a pochissimi il suo sguardo benevolo: ebbene, la chanson di Molinet ha questo argomento. Eccone, per i cercatori di cuore, il testo:

Tart ara mon cueur sa plaisance,

Tart ara mon bien sa naissance,

Tart ara mon heur son venir.

Tart ara de moi souvenir

Celle qui sur moy a puissance.

Tart ara mon corps son aisance,

Tart ara plaine joyssance

De celle ou ne peut avenir

(Tart ara mon cueur etc.)

Tart ara mon mal allegence,

Tart ara mon bruit son avence,

Tart ara mon vueil son desir.

Tart ara ma dame loisir

De guerir ma dure grevance

(Tart ara mon cueur etc.)

Allan Atlas, profondo conoscitore della musica di questo periodo, ha qualche dubbio sul fatto che Jean Molinet sia il vero autore, riconoscendo nella chanson lo stile di Busnois, che Molinet peraltro frequentava, a meno che questa chanson non sia stata una sua occasionale produzione ma solo l’unico esemplare pervenuto sino a noi: a questo però farebbe pensare il fatto che il grande Loyset Compere citi nella sua ‘Omnium bonorum‘ lo stesso Molinet accanto a calibri quali i citati Ockeghem e Desprez, Tinctoris, Regis e se stesso.

Oltre al sorprendente incipit, su cui insiste (la chanson ha struttura di rondeau), lascio ai compagni di cerca la gioia di scoprire quanti piccoli segreti il Poeta ha nascosto fra i suoi versi.

Concludo, ancora una volta, felice di scoprire quanto radicata fosse, nel felice periodo di Desprez, la conoscenza alchemica, qui e altrove trasmessa a quei pochi oggi in grado di scorgerne dei frammenti, una sapienza ammantata di bellezza che non ha ancora esaurito la sua forza: voglio anche pensare alla lungimiranza di questi compositori che hanno voluto lasciare, tramite la loro musica, tracce di una Luce altrimenti perduta, che sta a noi far risplendere nel segreto dei nostri Laboratori.

Un saluto ed un sorriso

Chemyst